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In conversazione con Nina Fiocco — Artericambi Gallery, Verona

[nemus_slider id=”67174″] — “Mi è sempre interessato come alla conoscenza di una distanza, spaziale o temporale che sia, si possa associare la capacità non solo di raccontare la verità ma anche, come aggiunge Benjamin, di trovare un’evasione (che il pubblico...

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“Mi è sempre interessato come alla conoscenza di una distanza, spaziale o temporale che sia, si possa associare la capacità non solo di raccontare la verità ma anche, come aggiunge Benjamin, di trovare un’evasione (che il pubblico complice concede al narratore) verso il ‘meraviglioso’. Nella mia pratica – afferma l’artista – ambisco a questo: a raccontare la realtà per concedermi il lusso di proporre un’astrazione fantastica della stessa”.

Fino al 7 luglio, la galleria Artericambi presenta Monte Grappa, La storia si fa in tre dimensioni e si racconta su due, prima mostra personale in Italia dell’artista e ricercatrice Nina Fiocco (Feltre, 1985, vive e lavora in Messico e in Italia), a cura di Marta Ferretti.

“L’artista focalizza la propria ricerca sul concetto di narrazione e distanza: una relazione deformante che nella società della comunicazione, all’opposto dell’esperienza diretta della realtà, genera una relazione unilaterale, trasformandosi in uno strumento di dominio e controllo. A partire dall’analisi di questo meccanismo, la mostra si sviluppa attorno all’idea di colonia, portando in scena la microstoria, ancora attuale, del rapporto del Fascismo italiano con la comunità di Chipilo in Messico. Quest’ultimo è un territorio assegnato dal governo messicano a migranti italiani arrivati in America Latina verso fine Ottocento. A seguito di una complessa operazione retorica attuata dal Regime in visita in America Latina nel 1924, Chipilo si trasforma simbolicamente in “colonia italiana”: il paesaggio collinare messicano viene ribattezzato Monte Grappa. Una pietra dell’omonima montagna diventa il monumento centrale del paese; di lì a pochi anni in città verrà costruita la casa del Fascio. Il legame indissolubile e persuasivo tra la patria e la colonia viene messo in atto attraverso un costante richiamo visivo e discorsivo tra la terra d’origine e quella di approdo, creando in questo modo un rapporto di interdipendenza tra i due luoghi.”

In mostra, si vedono una selezione di opere che ricostruiscono quella “cartografia immaginata, quasi poetica” che i migranti di Chipilo hanno creato, a partire da un’immagine vaga, inventata, magica della loro terra d’origine, una costruzione che si è alimentata di nostalgia e di sentimento di vicinanza con una patria che non hanno mai davvero vissuto: c’è un gonfiabile composto di due parti che si autoalimentano e che è stato disegnato sulla forma del Monte Grappa, ci sono dei disegni su carta e polvere di marmo messicano, c’è una fotografia e c’è un video.

Nina Fiocco, Monte Grappa, La storia si fa in tre dimensioni e si racconta su due  - Photo Nicola Turrini - Courtesy Artericambi Gallery, Verona
Nina Fiocco, Monte Grappa, La storia si fa in tre dimensioni e si racconta su due – Photo Nicola Turrini – Courtesy Artericambi Gallery, Verona

Tra i molti aspetti intriganti del complesso progetto di Nina, che in mostra è sintetizzato da una scelta minima ma efficace di lavori, c’è la sua straordinaria contemporaneità e la capacità di parlare della storia di un popolo, o almeno di un pezzetto di questa, mescolando un non ortodosso approccio scientifico-etnografico con un approccio che definirei magico-narrativo.
La narrazione, il racconto, l’invenzione sono di fatto i temi che parallelamente si ritrovano in mostra, tra le pieghe dei più espliciti concetti di “distanza”, “migrazione”, “condivisione”: non c’è in fondo, alla base della costruzione identitaria di un popolo, di un partito, di una comunità, una comunicazione politico-retorica di sé e degli altri?
Non è forse vero, come diceva Roland Barthes, che “la lingua non è né reazionaria né progressista: è semplicemente fascista” poiché “il Fascismo infatti non è impedire di dire ma obbligare a dire”?
Un’affermazione, questa, che è tanto più inquietante, quanto più si legge alla luce della fotografia intitolata da Nina Malinche (stampa lambda su Dibond, 2016): titolo che riprende il nome della traduttrice e sposa del condottiero spagnolo Hernán Cortés, considerata dai messicani “una figura ambigua, una traditrice della patria che ha favorito, grazie alle sue conoscenze linguistiche e culturali, la prima conquista del Messico da parte dello straniero.” L’immagine evoca una figura di donna inscatolata, schiacciata e divisa a metà da una pietra del Monte Grappa portata in Messico durante la campagna di propaganda politica del Regime, su cui è incisa una barzelletta xenofoba di uso comune tra i chipileñi.
E ancora, quando si osserva il video Circolo vizioso (Casa del Fascio), video HD, colore, 10’20’’, 2017 e si ascolta la voce di un’anziana abitante di Chipilo che canta, storpiandola, la vecchia canzone fascista “Giovinezza”, si ha l’impressione che la lingua, non compresa ma introiettata, sia uno dei molti segni tangibili della deformazione che il potere ha operato in quel territorio.
Da una parte, come scrive la curatrice, l’artista crea “il racconto, del tutto attuale, di un’italianità allargata”, che si fonda sul mito del buon migrante: Nina studia e parla con la comunità chipileña per capirne le dinamiche sociali, culturali e linguistiche, ciò che rende la comunità vicina o estranea alla comunità veneta “di partenza”, comprendendo quello che include o che esclude. Allo stesso tempo, però, ricostruisce l’elemento immaginativo, si occupa delle testimonianze visive che il potere negli anni Venti ha lasciato nell’immaginario della comunità, consapevole o inconsapevole vittima dell’ideologia.

Di seguito, la conversazione con l’artista intorno alla mostra Monte Grappa. La storia si fa in tre dimensioni e si racconta su due:

“Il progetto ha una parte teorica che ha un suo proprio svolgersi e che ha a che vedere con una ricerca quasi storica che sto facendo, anche se è presente, ovviamente, e predominante, un risvolto artistico. Questo progetto è stato iniziato da me nel 2012, poi è stato interrotto e si è accavallato ad altri ma la curiosità iniziale è rimasta: sono originaria di un paese del feltrino che si trova vicino a Segusino, un piccolo luogo di montagna che è gemellato con il Messico, mi domando perché e scopro che in Messico esiste un Monte Grappa, decido così di partire a cercare cosa questo significhi per la comunità locale.

Inizialmente pensavo che il Monte Grappa in Messico si chiamasse così perchè i migranti veneti arrivati lì alla fine dell’Ottocento, precisamente nel 1882, volevano costruire una toponomastica ma anche perché il Monte Grappa nell’alto Veneto è legato ad una serie di proverbi relativi alla meteorologia e alla vita della comunità, immaginavo dunque che questo nome fosse stato dato più che altro come maniera per portarsi dietro la propria terra d’origine.
Quando sono arrivata lì, ho iniziato a vedere cosa realmente avesse portato questo toponimo: la prima cosa di cui mi sono accorta è che il Monte Grappa messicano è piccolissimo, in realtà è una collinetta che si trova sopra Chipilo, un paese bianco piccolo e razzista in cui la discriminazione è evidente anche nella quotidianità: se parli spagnolo, per esempio, gli abitanti del posto rispondono in dialetto veneto.

Nina Fiocco, Controcampo - Video HD, colore, 4’20’’, 2017
Nina Fiocco, Controcampo – Video HD, colore, 4’20’’, 2017

Il nome Monte Grappa, in realtà, è stato dato a posteriori e, precisamente deriva dalla relazione che i chipileñi hanno intessuto con il Fascismo a partire dagli anni Venti: la storia di Chipilo è la storia di una colonia immaginata. Quando, a partire dal 1924, il Regime ha ripreso i rapporti con gli italiani che erano arrivati lì decenni prima, gioca moltissimo con l’ambiguità del termine colonia: una colonia che è un appezzamento di terra data a un gruppo di migranti per essere lavorato e una colonia che dal punto di vista politico e amministrativo è una roccaforte dell’identità italiana tra gli indigeni, riflesso dell’ideologia e del mito della modernizzazione che il governo doveva trapiantare in terra straniera.
Chipilo è il sogno del fascista, il tentativo di conservare la razza attraverso una nuova migrazione, l’idea di ruralità e di vita contadina: tutte idee che sono suggerite nella mostra e alluse dalla lotta tra natura e civilizzazione che ricorre nelle mie opere. Penso a come ho insistito in alcune stampe della serie Ai nemici in fronte il sasso, disegni su carta (polvere di marmo di Tecali e carta in proporzioni variabili), 2017, in cui c’è un richiamo alla Foresta Vergine e dunque alla natura e all’incontaminato, ma è una Foresta Vergine dominata e soggiogata dal cacciatore fascista, modello di civiltà:sono lavori che documentano una storia, quasi magica, molto romanzata e re-inventata, di conquista; si tratta di fogli irregolari composti da marmo di Tecali (un luogo che è vicinissimo a Chipilo e da cui si estraggono i materiali per i monumenti in Messico e Latino America) e, ‘in dose quasi alchemica, da polvere ottenuta dalla distruzione di pietre provenienti dai monumenti del paese. Ciascuno dei fogli contiene una dose diversa di pietra: aumentandone progressivamente la quantità, le opere assumono caratteristiche fisiche diverse. Quando la quantità di pietra è estremamente alta, il foglio perde a tal punto compattezza fino a rischiare di disgregarsi’.”

Una disgregazione che forse assomiglia alla disgregazione del sogno coloniale fascista in Messico e che corrisponde, almeno in parte, al progressivo abbandono politico, da parte del Regime, di quella “colonia immaginata” che è ancora oggi Chipilo.

Nina Fiocco — Monte Grappa. La storia si fa in tre dimensioni e si racconta su due
Artericambi Gallery | Verona
Fino al 07.07.2017
A cura di Marta Ferretti

Nina Fiocco, Sottosuolo - video HD, loop, colore, 30’’
Nina Fiocco, Sottosuolo – video HD, loop, colore, 30’’
Nina Fiocco, Malinche - Fotografia, stampa lambda su Dibond, 45 x 46 cm, 2016
Nina Fiocco, Malinche – Fotografia, stampa lambda su Dibond, 45 x 46 cm, 2016