#Miart2018 | Intervista con Alessandro Rabottini

"A partire dal 2013 miart è stata radicalmente ripensata e, negli anni, sono stati ideati sezioni speciali, progetti e formati. Sono stati anni in cui abbiamo sperimentato nuove strade e continuiamo ovviamente a sperimentare e a cercare di migliorarci."
10 Aprile 2018

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Una settimana fa è stata presenta la prossima edizione di miart, che apre i battenti giovedì 12 aprile (VIP preview e vernissage) per continuare lungo tutto il weekend fino a domenica 15 aprile. Nella gremita sala Mattioli nella sede di Gallerie D’Italia a Piazza della Scala, si sono succeduti gli interventi dell’amministratore delegato di Fiera Milano, Fabrizio Curci, il direttore artistico Alessandro Rabottini, il direttore generale Intesa Sanpaolo private banking (che per la prima volta sostiene la rassegna), Saverio Perissinotto e l’assessore alla Cultura del Comune Filippo Del Corno. Interventi propositivi e senza dubbio rassicuranti, spiegazioni e chiarimenti che, quasi all’unisono, hanno manifestato una ventata di ‘positività’ culturale nella città di Milano.

Sin da subito, Alessandro Rabottini ha sottolineato che la presentazione in corso è “il risultato di anno di lavoro”, motivo per cui si è deciso, a differenza degli anni scorsi, di convocare giornalisti e addetti ai lavori una settimana prima dell’apertura della fiera. Un’anticipazione dunque che consentisse di assimilare e diffondere le tante iniziative, proposte o, come suggerisce il sottotitolo della fiera, le ‘molte storie’ che si avvicenderanno durante non solo le giornate fieristiche, ma anche quelle che sono iniziate prima della Milano Art Week e che continueranno dopo: Matt Mullican. The Feeling of Things ed Eva Kot’átková. The Dream Machine is Asleep presso Pirelli HangarBicocca, Torbjørn Rødland. The Touch That Made You alla Fondazione Prada Osservatorio, Ya Basta Hijos de Puta. Teresa Margolles al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Una Tempesta dal Paradiso: Arte Contemporanea del Medio Oriente e Nord Africa (Guggenheim UBS MAP Global Art Initiative) alla GAM Galleria d’Arte Moderna, Jimmie Durham. Labyrinth alla Fondazione Adolfo Pini, Kimsooja alla Basilica di Sant’Eustorgio, The Szechwan Tale. China, Theatre and History a FM Centro per l’Arte Contemporanea, Barry X Ball al Castello Sforzesco e a Villa Panza, Project Room #7 alla Fondazione Arnaldo Pomodoro, il gonfiabile Sacrilege di Jeremy Deller nel Parco delle Sculture di City Life per la Fondazione Nicola Trussard ecc…

In più occasioni, si sono ribaditi i numeri che, per molti versi, presentano quelle che potremmo considerare le ‘dimensioni’ di miart, considerabile non solo come manifestazione fieristica, ma anche scintilla che ha acceso la città di iniziative: 184 gallerie provenienti da 19 paesi e 4 continenti, con opere dagli inizi del xx secolo fino ai nostri giorni; 7 Premi e un fondo di acquisizione da 100.000 euro; oltre 60 curatori, direttori di museo e personalità da tutto il mondo coinvolti nelle sezioni della fiera, nelle giurie dei premi e nei talk; 3 giornate di conversazioni con ospiti internazionali del mondo dell’arte e della cultura; 150 appuntamenti tra mostre, eventi, performance, inaugurazioni nel calendario della Milano Art Week.

Ricordiamo brevemente quelle che sono le 7 sezioni della fiera:
Established Masters /Sezione dedicata alle gallerie che presentano opere d’arte realizzate entro l’anno 1999, in una selezione che spazia dai maestri dell’arte moderna fino agli artisti oggetto di una riscoperta attuale. A cura di: Alberto Salvadori, Direttore, OAC Fondazione CR Firenze, Firenze
Established Contemporary / Sezione dedicata alle gallerie di primo mercato che presentano i linguaggi della più stretta contemporaneità, dai classici odierni alle produzioni nuove e recenti.
Established First Step / Categoria dedicata alle gallerie che hanno partecipato in passato alla sezione Emergent e che passano alla sezione Established Contemporary. La partecipazione all’interno della categoria First Step è consentita per un massimo di due edizioni e ad un numero limitato di gallerie.
Emergent / Sezione riservata alle gallerie con un’attività espositiva focalizzata sulla promozione delle generazioni più recenti di artisti. A cura di Attilia Fattori Franchini, curatrice Indipendente (Londra) che abbiamo intervistato alcuni giorni fa.
Decades / Sezione che celebra il ruolo centrale delle gallerie e della loro storia in un percorso che attraversa il XX secolo in una scansione per decenni. Ciascuno stand presenta un momento chiave che ha marcato il decennio in questione, in una successione di 9 progetti dagli anni ’10 agli anni ’90 del secolo scorso.  A cura di: Alberto Salvadori, Direttore, OAC Fondazione CR Firenze, Firenze
Generations / Sezione curatoriale su invito in cui due gallerie sono invitate a creare un dialogo tra due artisti appartenenti a generazioni diverse. A cura di Lorenzo Benedetti, Curatore per l’Arte Contemporanea, Kunstmuseum St. Gallen
Object / Sezione dedicata alle gallerie attive nella promozione del design di ricerca, delle arti decorative e delle edizioni limitate e del design da collezione. A cura di Hugo Macdonald, Critico del Design e Giornalista, Londra
On Demand / Le gallerie sono invitate a esporre all’interno del proprio stand e a prescindere dalla sezione di appartenenza, opere context-based, site-specific o interattive. Con questo si intende installazioni, wall painting e wall drawing, progetti da realizzare, commissioni specifiche, performance e lavori su contratto. A cura di Oda Albera, Exhibitors Liaison e Progetti Speciali, Milano

Per la lista delle gallerie, i talks, un’approfondimento sulle sezioni, ecc: CS _ miart2018

Alessandro Rabottini - ph Marco De Scalzi

Alessandro Rabottini – ph Marco De Scalzi

Segue l’intervista con il direttore artistico, Alessandro Rabottini —

ATP: Lo scorso gennaio, in occasione della presentazione stampa della edizione 2018 di Miart, hai sottolineato molti aspetti interessanti della fiera, partendo proprio dal sottotitolo che, inevitabile, la caratterizza: Miart 2018 — Il presente ha molte storie. Più che a una fiera, sembra una dicitura attribuibile a un archivio, a una raccolta di testimonianze. Mi spieghi a cosa si riferisce? Cosa allude in relazione a questa edizione 2018?

Alessandro Rabottini: miart è una fiera con un’offerta cronologica di opere molto ampia, che parte dai primi anni del Novecento e arriva ai giorni nostri. Attualmente l’ampiezza di questo ventaglio cronologico ci caratterizza rispetto ad altre fiere italiane in un senso maggiormente inclusivo rispetto ai diversi ambiti del mercato: moderno, contemporaneo, emergente e design.
Ma che si tratti di un dipinto degli anni Venti, di una fotografia degli anni Sessanta, di un’installazione di un artista emergente o di un oggetto di design in edizione limitata, a prescindere dal loro decennio di appartenenza noi tutti guardiamo le cose dal punto di vista del nostro presente, che è il qui e ora in cui ci troviamo e che ci è concesso come essere umani. Ecco perché “il presente ha molte storie”, a sottolineare il fatto che il nostro tempo ha sempre tante dimensioni in sé, non è mai schiacciato su sé stesso, è un presente fatto di memoria del passato e di proiezione in avanti, nel futuro. Inoltre, se con il proprio lavoro ogni artista inventa un mondo, allora la programmazione di ciascuna galleria, il suo magazzino, sono un enorme palinsesto di storie. Il titolo è un invito che rivolgiamo allo spettatore nel porsi in una posizione di ascolto di questa molteplicità di narrazioni e di possibilità che i nostri espositori portano in fiera.

ATP: In merito all’ “alleanza” che si è venuta a creare tra la fiera e la città di Milano, è indubbio che sia un processo iniziato anni fa, potenziato con la tua prima direzione 2017 e confermato quest’anno. In particolare, cosa ti rende orgoglioso di queste alleanze tra fiera, spazi pubblici e privati? Qual è l’obiettivo che ti sei prefisso nello stringere tante collaborazioni?

AR: La Milano Art Week è il risultato di un processo che, negli anni e grazie alla collaborazione tra Comune di Milano, Fiera Milano e miart e i principali attori istituzionali presenti in città, ha portato alla ricchezza di questo calendario di eventi e inaugurazioni. È il risultato di uno sforzo collettivo, di un contesto del quale noi siamo al servizio. E mi rende orgoglioso proprio questo, poter lavorare per la mia città in un momento come questo, in cui essa sta esprimendo una qualità espositiva e una progettualità eccezionali. Oggi più che mai è importante il gioco di squadra, perché nessuna città diventa una destinazione culturale senza un desiderio condiviso e una messa in comune di strategie. Credo che la Milano Art Week rappresenti anche questo: un momento dell’anno in cui il paesaggio istituzionale e non della città si presenta sul palco a un pubblico internazionale, sintetizzando in una settimana una qualità che i nostri attori esprimono tutto l’anno.

ATP: Hai spesso ribadito che con l’edizione 2018 Miart entra in una “fase di maturità”. Cosa intendi? Quali aspetti della fiera ti inducono a pensare che sia, finalmente, una fiera ‘adulta’?

AR: A partire dal 2013 miart è stata radicalmente ripensata e, negli anni, sono stati ideati sezioni speciali, progetti e formati. Sono stati anni in cui abbiamo sperimentato nuove strade e continuiamo ovviamente a sperimentare e a cercare di migliorarci. Però credo che una fiera che riunisce tutte le migliori gallerie italiane – sia nel moderno che nel contemporaneo –, che può contare sulla partecipazione confermata da anni di molte gallerie internazionali di alto profilo e che continua ad attrarne di nuove debba guardare ai propri obiettivi in modo diverso. E non credo che la maturità sia una stagione della vita in cui si smette di interrogarsi e di imparare, tutt’altro. È solo un’età in cui si è un po’ più consapevoli tanto delle proprie potenzialità quanto dei propri limiti.

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ATP: Una delle conferme evidenti del tuo lavoro – sia come direttore, ma penso anche alla tua attività nella direzione De Bellis -, è la confermata presenza di gallerie importanti con l’aggiunta di nuove, altrettanto influenti nel mondo dell’arte contemporanea, come Gagosian, Peter Kilchmann, Almine Rech e Thomas Dane Gallery. Cosa spinge gallerie così importanti ad essere presenti in fiera? In altri termini, come le hai convinte a partecipare?

AR: Il direttore di una fiera da solo può molto poco se non ha un contesto alle spalle che è convincente. In Italia purtroppo tendiamo a personalizzare troppo tutto, le istituzioni, le fiere etc… ma i fattori in campo sono tanti. Innanzitutto, Milano oggi ha un’enorme capacità attrattiva, è una città che gli stranieri amano visitare, ha una qualità della vita molto alta e un contesto in cui economia, imprenditoria, moda, design, arte e architettura vivono di scambi reciproci sempre più fertili. Inoltre, il collezionismo italiano è ricercato dalle gallerie internazionali perché è un collezionismo colto, che non ha bisogno di attendere che un artista diventi di moda per comprarlo, un collezionismo che conosce la storia dell’arte e che non ha molto raramente una propensione speculativa. Tutte queste sono qualità che distinguono molti nostri collezionisti e che le gallerie tengono in altissima considerazione. Inoltre, Fiera Milano ha creduto e sostiene una visione progettuale che miart e il suo team esprimono in una costante direzione di crescita, in un continuo dialogo e scambio con le gallerie, senza le quali una fiera non esiste.
Quindi per riassumere direi che le ragioni del carattere internazionale di miart possono essere attribuite a quanto internazionale e vivace è Milano in questo momento, alla qualità del pensiero del collezionismo italiano e al carattere costruttivo del dialogo tra miart e i suoi espositori.

ATP: So che ci tieni molto alla campagna che veicola, a tuo dire, non solo la comunicazione, ma si fa “espressione mediante le immagini dei concetti della fiera stessa.” Mi fa molto piacere che abbiate coinvolto un performer che stimo molto, Alessandro Sciarroni, a collaborare con il duo di video-artisti Masbedo e la fotografa Alice Schillaci. Immagini specchianti, volti moltiplicati, un close up su un occhio virato di giallo. Sembra che la visione sia focalizzata sull’atto del vedere, dell’osservare … ma anche sulla falsificabilità delle apparenze, la capacità delle immagini di essere ingannevoli. Cosa ti ha convinto di questa campagna e di quali concetti si fa espressione?

AR: “Prisma” è un racconto per immagini che, per la prima volta nella storia della comunicazione di miart, non occupa soltanto lo spazio dell’immagine fotografica (quindi riviste, affissioni in città etc.) ma anche lo spazio dell’immagine in movimento (con una video-installazione che accoglierà i visitatori in fiera) e lo spazio dell’azione scenica (con un spettacolo che andrà in scena le sere dell’11 e del 12 aprile al Triennale Teatro dell’Arte).

Questa campagna è il prodotto di tutte quelle creatività che hai menzionato e della regia di Mousse Agency: siamo partiti dal lavoro coreografico di Alessandro, da questi suoi corpi che amplificano il paesaggio che li circonda nel momento stesso in cui essi celano la propria identità, trasformandosi in presenza misteriose dotate di più arti. “Prisma” è un racconto per immagini sul potere della visione e sull’esplorazione dell’identità individuale, e una metafora di come la vera natura dell’arte non sia quella di rispecchiare la realtà, ma di trasformarla nell’atto stesso di rifletterla.

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