Me ne sto in superficie – Massimo Grimaldi

23 Aprile 2010

Di Massimo apprezzo l’ostinazione. La maniacalità con cui ribadisce il volerci far riflettere sulla natura di ciò che chiamiamo ‘arte’. Non so se ci riesce spesso. Di lui mi attrae questa assoluta perfezione e piglio scientifico. Mi attrae e allo stesso tempo mi respinge: perché ostinarsi a farci capire cosa è da considerare ‘arte’? Perché sconvolgerci con le immagini a ‘doppio’ taglio dei suoi pics? (discreta newsletter che l’artista manda via email a curatori, amici ecc.) Occhi enormi che ci guardano da una profonda Africa, nera e agghiacciante. Ma anche paesaggi incantevoli, farfalle, cime di alberi assolate mischiate a gambe con protesi, teli di plastica insanguinati, flebo e arti mozzati.
Io penso che me ne starò in ‘superficie’, per cogliere la bellezza che alla fine avvolge e, al tempo stesso, dissimula la sua profondità concettuale. La mostra alla galleria Zero… è una scatola perfetta, e perfettamente attaccabile sul piano etico, che si comprende pienamente in superficie. Ad un certo punto, presa la palla al balzo, mi sono accodata con Edoardo Bonaspetti al giro di spiegazioni (bizzarre ma efficaci) di uno degli assistenti di galleria. Un iniziale coinvolgimento emotivo: come non esserlo vedendo due bambine gioiose mentre, alla faccia del ‘chi siete e cosa volete’, giocavano con un mazzo di carte mangiando dei biscotti. Alle spalle due immagini: Mariem Before The Image ‘Rubine’ e Daba Before The Image ‘Magnesia’. Un iniziale raccapriccio per le immagini in loop nei due schermi mac. Una doppia immagine di un fan del leader dei Tokio Hotel: volto di un ragazzino ibridato con quello di Bill Kaulitz?
Un lavoro più di altri mi ha colpito: Ryszard Kapus?cin?ski Lights. Nome impronunciabile di un giornalista polacco che ha militato per tutta la vita facendo reportage da tutti i territori in via di sviluppo ecc ecc. (wikipedia). L’installazione ha dell’enigmatico, almeno per me. Tecnicamente: “consiste nel cieco e perpetuo scorrimento verticale e nella semirotazione di due luci montate su
guide lineari dal movimento a cremagliera”. Come effetto, se vista da un certo punto di vista, si aveva la semplice sensazione di trovarsi davanti ad una parete illuminata da dietro con luce fissa. Girandoci attorno, invece, ci scopriva che le luci erano mobili, ma come effetto diffondevano una luce ferma. Ultimo lavoro: una cassa acustica da cui, ogni 10 minuti, si sentiva un brano da una playlist. La selezione musicale risale ad un periodo molto triste dell’artista nei primi anni ’90. L’ho trovato un lavoro ‘umano troppo umano’ che mi ha rivelato un Massimo decisamente intimista…

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