–
MATERIA, mostra collettiva diffusa curata da Massimo Palazzi con opere di Andrea Botto, Sara Enrico, Giancarlo Norese, Elisa Strinna e Luca Vitone, chiuderà domani sabato 17 Ottobre.
Abbiamo fatto alcune domande al curatore.
ATP: Da dove nasce l’esigenza di mettere in dialogo il tessuto urbano di Novi Ligure con le ricerche degli artisti invitati?
Massimo Palazzi: Materia è nata in risposta a una precisa richiesta del Comune di Novi Ligure in merito all’organizzazione di un evento di arte contemporanea che si assumesse il rischio di confrontarsi direttamente con la cittadinanza, offrendo un nuovo sguardo sulle vie e i palazzi del centro storico. Il riferimento che mi è stato citato è la mostra Politica del per o riguardante il cittadino, allestita a Novi con modalità analoghe dal gruppo di artisti dello spazio milanese di via Lazzaro Palazzi nel lontano 1988. Considerando queste premesse e l’esigenza dell’amministrazione di riprendere le fila di un discorso intrapreso in passato, ho guardato alla città come una specie di campione stratigrafico che dà corpo tangibile al trascorrere del tempo e ne espone costantemente la memoria nel presente dell’esperienza quotidiana. Stimolato da significative ricorrenze riscontrate nelle ricerche recenti di artisti pur molto diversi e in parte anche dalla lettura dell’ultimo libro di Jussi Parikka, A Geology of Media, 2015, ho cominciato a costruire un progetto fondato sull’unità di permanenza e continua trasformazione che caratterizza la natura minerale della materia e la conformazione delle città.
ATP: La mostra non ha una sede specifica, ma nel complesso forma un percorso espositivo che passa per alcuni punti significativi del centro storico della città. In che modo tu e gli artisti avete scelto questi spazi, e quanto la storia di Novi ha influito su questa scelta?
MP: In realtà non parlerei tanto di percorso espositivo, quanto piuttosto di allestimento diffuso, sottolineando che gli interventi che compongono la mostra risultano dislocati sulla pianta della città in disposizione casuale. Non c’è infatti un ordine di visita, né la pianificazione di un itinerario, ma solo una serie di scelte dettate dalle diverse esigenze degli artisti e delle opere, senza un criterio unificante se non quello di cercare una relazione tra contenitore e contenuto. A parte il caso di Giancarlo Norese, che ha scelto di basare il suo intervento su uno spazio che da tempo attrae la sua attenzione e risulta particolarmente significativo rispetto alla sua percezione della città, nessun lavoro può essere considerato a tutti gli effetti site specific. Eppure la relazione tra le opere e i luoghi in cui esse sono presentate gioca un ruolo fondamentale all’interno del progetto, in quanto intende arricchire la vita dell’opera e del luogo e suscitare ulteriori riflessioni su entrambe le parti unite nel contesto della mostra. In questo senso, anche se non ci sono stati approfondimenti sulla storia degli edifici, grande è stata la suggestione di ambienti che hanno avuto destinazioni diverse e mostrano più o meno evidenti segni di evoluzioni stilistiche e funzionali. La scelta degli oggetti collocati da Sara Enrico nell’atrio e nella scala di Palazzo Brignole, per esempio, è partita da una sorta di identificazione con quello spazio, ripensato dall’artista come una grande scultura che registra i passaggi delle persone nelle superfici fortemente connotate delle pareti. Come in questo caso anche negli altri, l’intervento acquista un inaspettato potenziale narrativo conferitogli dal luogo in cui è ambientato, dove opera e spazio sono temporaneamente legati da un rapporto simile a quello delle indicazioni di scena rispetto a un’azione teatrale.
ATP: Con quale criterio hai scelto gli artisti? Qual’è il denominatore comune delle loro ricerche nell’ambito della mostra?
MP: Una volta individuato il nucleo fondamentale della mostra, quella “materia” che dà il titolo alla manifestazione, ho scelto opere e artisti che ne proponessero l’esplorazione evidenziandone aspetti diversi e complementari. Il denominatore comune è la ricorrenza di uno stesso elemento grezzo, apparentemente inerte, dotato di una qualche struttura e consistenza tattile indipendentemente dalla sua impalpabilità e, tendenzialmente, refrattario a ogni metafisica. Una presenza silenziosa che è la controparte attiva del lavorio umano e del lavoro, la matrice del pensiero e dell’azione, la sedimentazione della memoria e del tempo, ma anche il segno della loro inevitabile dispersione. Un altro criterio che ho seguito nella combinazione delle opere, con intento quasi didattico, è stato quello di fare in modo che la scelta rappresentasse una campionatura della varietà dei linguaggi che costituiscono il panorama dell’arte contemporanea, dissuadendo facili divisioni basate sui media adottati con lavori che in qualche modo tradiscono la specificità del mezzo. La ricorrenza dei temi che accomunano gli interventi contribuisce infatti a sottolineare che qui chi fa le foto non è necessariamente un fotografo, chi scrive una composizione non è un musicista, né chi crea oggetti uno scultore.
ATP: La natura delle opere è molto varia, e passa per vari gradi di “smaterializzazione”, dall’inaugurazione di un nuovo spazio espositivo permanente, la kunsthalle novi, per iniziativa di Giancarlo Norese, all’esecuzione di una composizione per quartetto di clarinetti di Elisa Strinna. Potresti approfondire questo aspetto, anche in relazione al titolo e al tema della mostra?
MP: Il diverso grado di densità delle opere in termini di consistenza materiale appaga un approccio estetico che trova piacere nella varietà, ma rappresenta soprattutto un’ulteriore riflessione sulla natura della materia e dell’opera d’arte come concrezione significante. Paradossalmente, il tema di questa mostra è evocato in absentia: l’azione degli agenti atmosferici nell’arco di un anno si riduce a pochi effimeri minuti di musica, la presenza dell’amianto si misura nei tempi lunghi con cui miete le sue vittime, una nicchia nel muro diventa un museo per tutto il sistema di relazioni che è in grado di generare. Il livello di smaterializzazione è evidentemente molto alto. Di fatto però, quando si parla di materia, il tempo e la sua azione – ma anche il lavoro umano – entrano inevitabilmente in gioco in quanto agenti della sua trasformazione e finiscono per raccontare della diuturna fatica di uomini e donne. Si delinea così in tutta la sua concretezza un altro motivo che ritorna come filo conduttore della mostra. Sono le lavorazioni manuali, meccaniche e digitali, di cui gli oggetti di Sara Enrico conservano incongrua e straniata memoria, l’energia dei lavoratori che ha alimentato la centrale geotermica di Didcot fotografata da Andrea Botto e ha reso la sua presenza nel paesaggio iconica agli occhi degli abitanti del luogo, per non parlare degli operai tragicamente uccisi dagli anni trascorsi nella fabbrica dell’Eternit…
Credo che il senso della mostra, oltre a quello di instaurare una serie di rimandi incrociati tra le opere e il contesto espositivo, sia da cercarsi proprio nella particolare tensione che si crea oggi tra il materiale e l’immateriale, ma soprattutto nell’urgenza di inscenare un raffronto tra la roccia e la nuvola in una prospettiva non solo geologica ma anche umana.
ATP: In che modo è stato concepito il catalogo che accompagna la mostra?
Il catalogo, che sarà disponibile in 200 copie al termine della mostra, è stato voluto dall’amministrazione comunale come documentazione dell’evento, ma anche come edizione in grado di proporre un approfondimento critico rispetto all’intervento dei singoli artisti a Novi. Conterrà ovviamente le immagini delle opere installate nei luoghi della mostra, ma anche le parole di Andrea Botto, Sara Enrico, Giancarlo Norese, Elisa Strinna e Luca Vitone scritte in risposta ad alcune mie domande intorno al loro lavoro e ai temi del progetto. Alice Baiardo di Asinello Press ne ha curato la veste grafica che è parte integrante del progetto editoriale.