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Il recupero del naturale di Lucia Leuci | Tempesta Gallery, Milano

Lucia Leuci si presenta nella sua personale alla Tempesta Gallery, come ‘la ragazza di città’, definizione che diviene anche il titolo della mostra. L’artista ribalta il caro concetto di ‘il ragazzo di campagna’ il film diventato un ‘cult’ negli anni...

Lucia Leuci, La ragazza di città, 2020, exhibition view, TEMPESTA gallery, Milan – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, Padre, 2020, Iron, bread, 124x40x78 cm – – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi

Lucia Leuci si presenta nella sua personale alla Tempesta Gallery, come ‘la ragazza di città’, definizione che diviene anche il titolo della mostra. L’artista ribalta il caro concetto di ‘il ragazzo di campagna’ il film diventato un ‘cult’ negli anni ’80 dove un giovane Renato Pozzetto interpreta il sempliciotto Artemio, un contadino che vive a Borgo Tre Case, un piccolissimo paese della campagna pavese, che si innamora di un’altrettanto sprovveduta ragazza che non ricambia il suo amore. Artemio decide di cambiare vita e di andare in città partendo per Milano. Da qui, le tante avventure e disavventure del simpatico provincialotto.
Lucia Leuci rispolvera questa pellicola rovesciandone i presupposti: se Artemio agognava la città per riscattarsi, l’artista incarna i desideri di coloro che non vogliono più vivere nelle metropoli all’avanguardia, bensì desiderano avvicinarsi alle zone rurali, magari sperando di ritornare a quella semplicità che tanto inorridiva tutti coloro che consideravano la campagna provinciale e arretrata. 
Partendo da questo ribaltamento di prospettiva, l’artista allarga ulteriormente il suo campo di riflessione, appropriandosi – partendo dalla sua personalissima esperienza – della visione che può avere il cittadino nella sua idea-percezione del ‘naturale’. 
“Quello che più mi interessa sottolineare è la fenomenologia connessa al processo ‘immaginativo’ che può celarsi in particolar modo in chi vede la Natura osservandola dalla città, magari al chiuso del proprio mono/bilocale con ‘angolo cottura’.”
Ed è proprio dalla sua visione immaginifica che l’artista parte per elaborare la serie di opere in mostra. Ma non solo, trasformando anche l’aspetto manipolatorio dei vari materiali, Leuci indaga il significato insito nella loro trasformazione che come fossero ingredienti, ci riportano alla transitorietà delle forme, al valore della mutevolezza sia degli alimenti, che diventa pietanze, sia – e soprattutto –  nei materiali che diventano sculture.
Ferro, tessuto, pigmento, resina epossidica, capelli sintetici, vetro, polvere di alabastro, uova, gesso, rame, marmo, terra, acciaio, ceramica, vino, argento, plastica: disparati, sorprendenti e imprevedibili, i materiali che compongono le sculture sembrano raccontare la volontà dell’artista di appropriasi – in forma simbolica – di una manualità forse scomparsa, dove unioni, impasti e accostamenti, erano il frutto di un sapere genuino e autentico. Invitati a immaginarla nel suo angusto appartamento milanese, l’artista diventa per noi l’ archetipo del cittadino che vive nel suo mini-appartamento iper-tecnologico: un modulo abitativo standardizzato dove mobili compatti diventa cucine accessoriate e funzionali.

Lucia Leuci, La ragazza di città, 2020, exhibition view, TEMPESTA gallery, Milan – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, Realismo magico, 2020 – Iron, glass, print on paper, 168x98x16 cm – Courtesy: artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi

Da questa unità di misura, entriamo nella sua mostra-abitazione che, come un disegno stilizzato, l’artista traccia: cucina, salotto, un abbozzo di mobilio, delle mensole, un frigorifero. Saltano le proporzioni e anche l’orientamento: le installazioni, via via ci guidano attraverso quelle che definirei “scenette quotidiane astratte”, dunque paradossali. Se partiamo dal significato di ‘astratto’, separato, priva di corrispondenza con il reale, il termine è decisamente calzante con le opere della Leuci: l’artista astrae dal reale una sorta di ‘essenza’ delle cose, per renderle simboliche, segni che rimandano ad un significato più ampio e, dubbiamo sottolineare, più denso, più interpretabile. 
Le prime opere che ci accolgono – Piccola Dea Ingenua, Realismo magico e Padre –  mostrano una bambina le cui mani diventano rami, una finestra spalancata su un’ironica interpretazione del ‘realismo magico’ e una figura scheletrica dalla paradossale pancia piena di pane. 
Altri personaggi ci accompagnano: la silhouette di una donna gravida, un ragazzino definito ‘raccoglitore di carote’ le cui dita sono sostituite da tuberi. 
Accanto a loro gli spazi flessibili e disorientanti come un fornello ribaltato che accoglie delle pentole strozzate, una mensola abitata da un paesaggio fatto di piatti impilati, piccoli vasi con fiori essenziali, una tazza, un vasetto e un bicchiere. Quest’ultima installazione ha un titolo descrittivo:  Paesaggio contemporaneo con figura che indica il sole (lavello). La figura è un bambolino con un braccio alzato che indicato un ‘sole’ che appare come la piletta di un lavandino piena di quelli che sono gli scarti tipici di una sciacquatura di piatti. Appaiono così tre micro mondi fatti di bucce, pelle di verdure, qualche pisello, pezzi di asparago e peperoni tutti fedelmente fatti di resina. I dettagli lasciano stupefatti: l’artista ci accompagna in un viaggio che attraversa  una cucina in scala 1:1, un tavolo abitato da una mela e una pera giganti in rame, un frigorifero da bambola pieno di piselli, passando tra uova accomodate in una casa contenitore che le accoglie come una grande famiglia. La particolarità di questa dimora ovipara è che ogni elemento è contrassegnato da un tatuaggio, come a voler rendere individuale un elemento rinomato per perfezione e anonimato.
Dettagli, particolari, piccole ossessioni: Lucia Leuci immortala con precisione quello che è l’ambiente di un essere umano ‘tipo’, solitario, scarnificato dalla sua volontà di apparenza, di possesso, di socialità. Lo descrive desideroso di autenticità e di “forza della natura”, quale essa sia.
Viene da chiedersi dunque, chi è la ragazza di campagna a cui l’artista allude? Siamo sicuri di avere ancora ben chiaro il significato di campagna, quel luogo pensato come silenzioso, incontaminato, ‘puro’? 
L’artista, con le sue opere, apre a queste e a molte altre questioni. 

Lucia Leuci, Prosperino, 2020, Iron, alabaster powder, watercolor on paper, epoxy resin, pigment, 25x10x28 cm – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, UòvoteKa, 2020, Iron, eggs, temporary tattoos, plaster, 43x46x8 cm – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, La ragazza di città, 2020, exhibition view, TEMPESTA gallery, Milan – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, Paesaggio contemporaneo con figura che indica il sole (lavello), 2020, Iron, marble, soil, steel, epoxy resin, pigment, ceramic, glass, wine, silver, plastic, watercolor on paper, 59x100x14 cm – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, Partoriente, 2020, Iron, 155x38x74 cm – Lucia Leuci, Raccoglitore di carote, 2020, Iron, fabric, pigment, epoxy resin, soil, 142x50x40 cm – – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, La ragazza di città, 2020, exhibition view, TEMPESTA gallery, Milan – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi
Lucia Leuci, La ragazza di città, 2020, exhibition view, TEMPESTA gallery, Milan – Courtesy: the artist and TEMPESTA gallery, Milan – Photo credits: Alessandro Zambianchi