Luca Bertolo al Mart | Intervista con il curatore Denis Isaia

Per secoli l’immagine ha potuto essere inquietante, magniloquente, attraente, repulsiva, informativa, archetipica. Poteva essere antagonista o protagonista, ma mai tutte e due le cose insieme, come invece succede nella pittura di Bertolo.
19 Marzo 2019
Luca Bertolo, Striscione, 2018 oil and acrylic on canvas, wood cm 350 x 430 x 4 private collection photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, Striscione, 2018 oil and acrylic on canvas, wood cm 350 x 430 x 4 private collection photo by Alessandro Nassiri

E’ in corso fino al 31 marzo la personale di Luca Bertolo al Mart di Trento e Rovereto. In questa importante tappa nella sua carriera ventennale, l’artista presenta una selezione della sua produzione più recente. Il percorso espositivo inizia idealmente con l’opera La Colonna Infame (2016) per proseguire con opere dal ciclo dei “retro”, veri e propri racconti di atti iconoclastici; le Bandiere; Il buon futuro di una volta, un quadro costruito su un’immagine idealizzata e resa obsoleta dalla pittura a spray; infine la serie Terzo paesaggio: interventi che l’artista compie su su opere di autori anonimi. Al centro, quasi fosse un manifesta della sua poetica “d’opposizione”, Striscione, un grande “NO” dipinto alla maniera puntinista.
Segue un’intervista con Denis Isaia, curatore della mostra, per addentrarci in molti degli assunti che Luca Bertolo sviscera con e nella pittura.

Elena Bordignon: La Colonna Infame (2016) è il quadro di Luca Bertolo entrato a far parte delle Collezioni del Mart. Una grande tela alta tre metri che, a mio parere, sintetizza quelli che sono i cardini di tanta parte della ricerca di Bertolo: l’indagine del linguaggio pittorico, la sua scomposizione e analisi; la pittura come metalinguaggio; lo svelamento della tela come territorio espressivo. Partiamo dunque, proprio dal titolo de La Colonna Infame. A cosa si riferisce?

Denis Isaia: Per misurare la portata della sfida che il quadro offre al visitatore va detto innanzitutto che è una pittura di storia. Infatti come ricorda l’etichetta dipinta sulla sinistra della tela il titolo, Colonna infame, è dedicato a “Palmira” e, con discreta certezza, alla parziale distruzione del sito archeologico siriano. L’opera appartiene al gruppo dei “retro” o “risvolti”. Un insieme limitato di quadri che da lontano paiono delle tele voltate verso la parete su cui l’artista è intervenuto con della pittura a spray. Una maggiore vicinanza rivela però l’inganno: tela, telaio, risvolti, punti metallici ed etichette sono frutto di una meticolosa finzione pittorica. Alcuni tra i commenti che ho ricevuto durante la mostra parlano di “trappole per lo sguardo”, “cortocircuiti ontologici”, “fine della pittura”, “critica dell’immagine”.

Parlando della Colonna infame a me piace ricordare Senza titolo (Ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan), un altro quadro del gruppo dei “retro” che presenta un grande retro segnato da una rapida spruzzata rossa che occupa orizzontalmente meno della metà del quadro. Quella spruzzata a me ricorda il gesto di un bambino che non riesce a staccare il dito dal muro. Oppure, restando nel contesto narrativo dell’opera, lo si potrebbe leggere come il segno di un militare che, passando per le sale di una pinacoteca dove qualcuno ha appoggiato al muro provvisoriamente un grande quadro voltato, lascia su di esso una traccia della sua personale esperienza di guerra Ce lo ricorda d’altro canto la scritta in calce alla spruzzata: “il ritiro delle truppe dall’Afghanistan”. Bene, con una spericolata analogia a me Senza titolo (Ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan) e Colonna infame fanno venire in mente le famosissime nove parole con cui Ungaretti sintetizza la condizione dei soldati al fronte nel 1918: “Si sta come d’autunno / sugli alberi / le foglie”.
Siamo arrivati al cuore della nostra questione. La pittura, come la poesia, non può competere ad armi pari con l’immediatezza e la vivezza documentaria del video o della fotografia. Forse dipingere un cadavere è più potente che fotografarlo o inoltrarsi nei suoi resti con la telecamera? Possiamo raccontare con un quadro le complessità di un conflitto come magistralmente fa la riproduzione fotografica in studio di The Dreadful Details di Eric Baudelaire? Ancora, siamo in grado con tela e pennelli di articolare un discorso sulle mistificazioni militari come succede nell’installazione Detroit di Amir Yatziv? Come ha ricordato lo stesso Luca Bertolo durante la presentazione della mostra, la tela è “voltata” perché volendo confrontarsi con quegli eventi storici non aveva altra possibilità che iniziare con quel gesto paradossale, riconsegnandosi alla pittura e alla poesia.

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

EB: Un altro degli aspetti fondamentali di quest’opera – ma anche di molte altre dell’artista – è la negazione o lo scardinamento della rappresentazione. Pittura dunque come atto iconoclasta. Potremmo citare un altro lavoro in mostra, Striscione (2018). Mi introduci come l’artista ha sviluppato questa ricerca di ‘negazione’ attraverso la pittura? Ma anche ‘negazione’ della stessa pittura?

DI: Nel catalogo della mostra ho chiamato in causa l’iconoclastia. L’ho fatto inseguendo un’intuizione, ovvero che sia possibile individuare nell’opera di Bertolo elementi di discontinuità rispetto ai sottotesti di matrice novecentesca che pure traspaiono dalla sua lettura dei suoi lavori.   Uno dei punti principali della questione mi pare riguardi la complicità fra l’artista, le immagini e la loro riproduzione. Facendo leva su un’intelligenza sovversiva, Bertolo mette continuamente il dito nella piaga di una delle faccende più spinose e controverse della contemporaneità. Lo fa, da pittore senza appoggiarsi al piacere scorrevole e mondano della pittura, alla sua animosità o alla maniera. Piuttosto preferisce sostare nelle maglie della vicenda.

In pittura la riproduzione di un’immagine è strettamente connessa con questioni che riguardano il genere e lo stile. Banalmente, lo stile adottato da un pittore informa l’opera. Ad esempio puntinismo ed espressionismo sono entrambi stili pittorici, se il primo è atmosferico e panico, il secondo è piuttosto ruvido e psichico. Anche il genere ha ovviamente il suo peso e suscita aspettative e riscontri diversi. Da una natura morta non pretendiamo la stessa espressione di monumentalità che invece ci aspettiamo da una pittura di storia Ritornando allo specifico della tua domanda prendiamo il caso de Il buon futuro di una volta #9. L’opera presenta la riproduzione in stile iperrealista di un vecchio scatto del gruppo montuoso della Marmolada impaginato in una cartolina con tanto di scritta e indicazione altimetrica “Col Rondella (2486)-Marmolada (3340)”. Inoltre, come nei “retro” l’opera è conclusa da un intervento a spray che vìola la perfetta riproduzione.
Dunque cosa stiamo guardando? Uno scorcio montano e quindi un paesaggio? La riproduzione pittorica di una cartolina, quindi una natura morta? Un pezzo di Street art riportato su una tela? L’unica certezza è che stiamo passeggiando su un terreno scivoloso.
Per secoli l’immagine ha potuto essere inquietante, magniloquente, attraente, repulsiva, informativa, archetipica. Poteva essere antagonista o protagonista, ma mai tutte e due le cose insieme, come invece succede nella pittura di Bertolo.

Luca Bertolo,  La Colonna Infame, 2016 oil on canvas cm 300 x 200 Mart museum collection photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, La Colonna Infame, 2016 oil on canvas cm 300 x 200 Mart museum collection photo by Camilla Maria Santini

EB: Nella serie in mostra il Terzo paesaggio, l’artista intervenire su delle opere di autori anonimi. Che interpretazione e significato hai dato a queste intromissioni?

DI: Se posso attribuire un merito alla mostra è quello di aver acceso la luce su alcune opere di Luca Bertolo che in precedenti apparizioni avevano ottenuto meno attenzione. È il caso della serie delle Bandiere e in particolare dell’opera Bandiera #12 / Flag #12, oppure di The Killer, un “retro” di medie dimensione avvolto in una cornice barocca. Queste, unitamente al gruppo di opere che vanno sotto il titolo Terzo paesaggio credo indichino alcuni possibili sviluppi della ricerca di Bertolo poiché accentuano quella composizione contraddittoria e stratificata che, a mio parere, ne è la cifra stilistica.

La doppia W al centro di Bandiera #12 / Flag #12 dona all’opera un’istintualità sarcastica (cosa indica quella doppia W? Viva gli sposi, gli alpini, il Duce, Bartali? Chi e che cosa supportiamo?). Anche l’aggiunta di una cornice barocca in The killer è un gesto indocile, refrattario a essere governato e potenzialmente dotato di un’autonomia espansiva e virale. Quanto ai Terzo paesaggio quando li ho visti per la prima volta quella sovrapposizione fra l’opera preesistente acquistata dall’artista in un mercatino e la finitura espressionista mi ha fatto pensare a un’immagine eccitata o spaventata. Avventurandosi criticamente in queste opere credo trasmettano la sensazione di essere dotate di un’intelligenza propria. Forse Bertolo non ce lo ha detto, ma sta sfidando il grande Leonardo che come recita il commento popolare ha permesso allo sguardo della Gioconda di seguirci. Ovunque, come uno spettro o come un’immagine.

Luca Bertolo,  The Killer, 2017 oil and acrylic on canvas, wood frame cm 95 x 105 private collection photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, The Killer, 2017 oil and acrylic on canvas, wood frame cm 95 x 105 private collection photo by Camilla Maria Santini

EB: Il velo è, per tradizione, la manifestazione di meccanismi di occultazione presenti in seno all’opera. Esso partecipa a quel gioco contraddittorio secondo cui ci si focalizza sulla parte che si ambisce coprire. E’ lunghissima la storia e la simbologia del ‘velo’ nella storia dell’arte. In mostra, nell’opera Veronica 18#05 (2018), come ‘funziona’ l’espediente del velo? Che significato ne ha dato l’artista?

DI: Due settimane fa abbiamo presentato al museo “I baffi del bambino. Scritti sull’arte e sugli artisti” (2018, ediz. Quodlibet) , il volume curato da Davide Ferri che raccoglie gli scritti di Bertolo. Fra parentesi, quei baffi del bambino, potrebbero essere le W le cornici barocche, le spruzzate a spray o la materia pittorica che impazzisce come panna sulla tela. È un libro importante per chi si occupa d’arte e specialmente di pittura. Ironia della sorte, non contiene nessun accenno alle Veroniche: ti propongo però un estratto inedito:

“Come è noto, nella tradizione europea il termine Veronica indica il velo che contiene l’impronta del volto di Gesù: durante il suo cammino verso il calvario, una donna gli avrebbe asciugato il sudore del volto con un pezzo di stoffa su cui rimasero impresse le sacre sembianze. Esistono innumerevoli rappresentazioni pittoriche del velo della Veronica, realizzate per lo più tra il XIV e il XVII secolo. L’etimologia è dubbia, ma l’ipotesi concettualmente più stimolante mi pare quella di Vera Icona. Come nel caso della Sacra Sindone, l’immagine è considerata vera – non ingannevole come capricciosamente tendono ad essere le immagini – in quanto acheropita, ovvero ‘non fatta da mano umana’. Sia come sia, l’unica immagine riconoscibile nel mio quadro è quella di un velo, dipinto (da mano umana, peraltro) sul retro di una tela precedentemente utilizzata.”

Nel catalogo della mostra ho avuto l’ardire di suggerire che le Veroniche prendano per così dire in contropiede Malevič. Un’affermazione che può far sorridere qualcuno. Eppure pensiamo alla convocazione dei “commessi dei 19 secoli” (la storia dell’arte occidentale tout court) a cui, come da prassi avanguardista, il grande pittore russo comunica di aver sigillato le loro fatiche, i loro canoni e le loro conquiste in un piccolo quadrato nero, matrice di una nuova, suprematista, sensibilità antifigurativa. Con le Veroniche Bertolo rientra nel figurale, lo fa con l’intelligenza che gli è propria, ossia evitando di issare la bandiera del libero arbitrio e mostra a Malevič, sul suo stesso campo da gioco, l’origine delle riflessioni monocromatiche, riconducendole però non alle rotture epistemologiche sbandierate dalle avanguardie, ma alla relazione profonda e socialmente (!) costitutiva fra l’uomo e le immagini. Il mio è ovviamente un artificio narrativo, mai Bertolo mi ha parlato di suprematismo o di Malevič. Ciò che mi interessa è mostrare come l’opera di Bertolo contenga un ripensamento dell’idea stessa di contemporaneità, che è stata continuativamente costituita sulle discontinuità. Le stesse che Bertolo persegue. Per questo è contemporaneo, e allo stesso tempo, come noi, non lo è più.

Luca Bertolo,  Veronica 18#05, 2018 oil on canvas cm 80 x 100 Courtesy SpazioA, Pistoia photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Veronica 18#05, 2018 oil on canvas cm 80 x 100 Courtesy SpazioA, Pistoia photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, Red Girl, 2017 oil on canvas cm 50 x 40 Silvia-Fiorucci-Roman collection, Principality of Monaco photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Red Girl, 2017 oil on canvas cm 50 x 40 Silvia-Fiorucci-Roman collection, Principality of Monaco photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo,  Smiley #1, 2015 oil on plastic cm 23 Ø (unframed), cm 38 x 38 (framed) private collection photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Smiley #1, 2015 oil on plastic cm 23 Ø (unframed), cm 38 x 38 (framed) private collection photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo,  Terzo Paesaggio #8, 2018 oil on canvas cm 70 x 80 Courtesy SpazioA, Pistoia photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Terzo Paesaggio #8, 2018 oil on canvas cm 70 x 80 Courtesy SpazioA, Pistoia photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo, 2018 exhibition view Mart, Trento and Rovereto photo by Alessandro Nassiri

Luca Bertolo,   Il Buon Futuro di una volta #9, 2018 oil and acrylic on canvas cm 100 x 150 Courtesy SpazioA, Pistoia photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Il Buon Futuro di una volta #9, 2018 oil and acrylic on canvas cm 100 x 150 Courtesy SpazioA, Pistoia photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo,  Terzo Paesaggio #5, 2018 oil on canvas cm 70 x 80 private collection photo by Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Terzo Paesaggio #5, 2018 oil on canvas cm 70 x 80 private collection photo by Camilla Maria Santini

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