La realtà, i linguaggi | Galleria Enrico Astuni, Bologna

Gli artisti in mostra - Maurizio Cattelan, Maurizio Mochetti, Maurizio Nannucci, Giulio Paolini, Agnieszka Polska, Rafaël Rozendaal, Tomás Saraceno, Nedko Solakov - offrono un ventaglio assai largo di interpretazioni della realtà e di conseguenti modelli linguistici.
8 Gennaio 2022
Galleria Enrico Astuni Veduta parziale della mostra La realtà, i linguaggi.
Veduta parziale della mostra La realtà, i linguaggi. Tomás Saraceno, Ring Bell Helios, 2019, corda di poliestere, Dacron, occhielli, lamina iridescente, fibra di carbonio, nylon, 50 x 280 x 280 cm

Testo di Federico Abate

La Galleria Enrico Astuni di Bologna ospita fino al 27 febbraio la mostra collettiva La realtà, i linguaggi, a cura di Fabio Cavallucci. Protagonista è una lettura dell’arte come ambigua ma feconda interprete della realtà multiforme, altrimenti inconoscibile. Secondo il curatore gli artisti elaborano codici linguistici – articolati e divergenti, perché figli della soggettività della loro psiche – che gettano luce sulle trame sommerse del senso. Lo spazio della Galleria Astuni è l’agorà deputata al confronto tra i linguaggi espressivi di otto artisti, che offrono diverse chiavi di lettura riguardo a temi fondanti della contemporaneità: la scienza e le nuove tecnologie, il rapporto tra religione e politica, la condizione umana nell’era della virtualità. L’allestimento è animato da un dualismo formale, che vede contrapporsi da una parte sorgenti di irradiazione cromatica (neon e schermi digitali) e dall’altra dispositivi più introversi e sommessi, autoriflessivi.

Il visitatore è accolto dalle fulgenti geometrie in movimento che animano i quattro schermi dell’opera Endless Nameless (2021) di Rafaël Rozendaal. Sul muro adiacente, due opere altrettanto variopinte della serie Abstract Browsing (2019) dello stesso autore mettono al centro una riflessione sul medium artistico nell’era del digitale. Un apposito plug-in per browser visualizza siti web e homepage di social network come composizioni di elementi astratti dai toni saturi e permette a Rozendaal di scavare nella profondità del codice e individuarne la struttura estetica soggiacente. A partire da queste elaborazioni ready-made l’artista ricava degli arazzi, una versione psichedelica dei prodotti del laboratorio tessile del Bauhaus. Il dato digitale è trasposto in un formato analogico, invertendo l’ormai preponderante tendenza alla dematerializzazione delle cose nei loro fantasmi virtuali.

Al tripudio cromatico delle composizioni di Rozendaal si oppongono le diafane entità sospese di Tomàs Saraceno, che nella loro evidente artificialità tutto devono all’osservazione della natura. Radiatus (2018), un satellite-antenna rarefatto e ridotto al suo scheletro concettuale, è in realtà ispirato alle proprietà strutturali delle tele dei ragni. In un simile, impalpabile statuto formale si presenta Da una dimensione all’altra (2016) di Maurizio Mochetti, opera costituita da un modellino di aereo applicato al muro intorno a cui è tracciato un semplice cerchio, che rappresenta idealmente lo sfondamento del muro del suono. Il fenomeno fisico è ridotto ad una perfetta geometria naturale e nella sintassi dell’artista acquisisce il ruolo di tramite tra due diverse dimensioni spaziali, da un altrove sconosciuto allo spazio della galleria. L’arte esiste fisicamente nello spazio dell’uomo, ma il suo vero significato giunge dall’empireo.

Veduta parziale della mostra La realtà, i linguaggi. Tomás Saraceno, Radiatus, 2018, Fibra di carbonio, corda di poliestere 0,05, corda di velluto nero, anelli di acciaio inossidabile, h 135 x 120 x 120 cm; Maurizio Nannucci, Wherever you are wherever you go, 1998, neon in vetro Murano di colore blu, 16 x 278 x 3 cm; Agnieszka Polska, I Am the Mouth II, 2016, HD video, 5’ 45’’
Veduta parziale della mostra La realtà, i linguaggi. Maurizio Mochetti, Pendolo laser, 1996, tubolare di duralluminio e laser, h 710 x ø 5 cm; Maurizio Cattelan, Senza Titolo (Natale ’95), 1995, neon, 40 x 85 x 5 cm, Ed. di 3 + AP

In Come è / Come se (2014) Giulio Paolini evoca nuovamente un mondo altro, un ambiente fittizio tracciato a matita visibile attraverso venti “finestre”, ma il perimetro della stanza sembra proseguire al di qua di esse, riverberandosi nello spazio fisico. Anche in questo caso l’opera non è delimitabile, si colloca sul confine tra due diversi statuti di realtà. In Un’opera aperta (3) (2019), il libro, simbolo archetipico di verbalizzazione del sapere, è composto solamente da fogli bianchi e ha come frontespizio una foto di tre libri, anch’essi ermetici. La tautologia asserisce che la vera conoscenza non può essere circoscritta dalle parole e che attraversa piuttosto altri piani di esistenza.

Se Saraceno e Mochetti fanno della natura e delle sue strutture primarie il loro campo di ricerca, e se invece Paolini disseziona il dispositivo prospettico per metterne a nudo i meccanismi, Maurizio Cattelan prende di mira le impalcature di simboli religiosi e politici radicate nell’immaginario collettivo. Nel neon Senza titolo (Natale ’95) (1995) sovrappone beffardamente la stella cometa, guida dei Re Magi alla culla del Redentore, alla stella a cinque punte adottata come proprio emblema dalle Brigate Rosse, anch’essa carica di istanze utopiche di rinnovamento del mondo, distorte però dall’ombra del terrorismo. Il segno viene risvegliato dal torpore della Storia e riattivato nella sua potenza comunicativa.

Su tutto troneggiano i neon di Maurizio Nannucci, ai lati opposti della sala. Wherever you are wherever you go (1998) esprime, nella sua sognante ambiguità, un universo di possibilità ancora allo stato potenziale, e la collocazione dell’opera all’incrocio tra parete e soffitto fa sì che solo il tetto dello spazio le impedisca di librarsi nel cielo. Invece il monito This is not here / More than real (2021) invita, grazie all’alternanza incrociata tra le due asserzioni, a pensare al linguaggio come strumento poroso e stratificato, la cui capacità espressiva “va al di là della materialità del contingente”. Un invito a varcare le soglie del senso e delle convenzioni linguistiche per grattare la superficie dell’ignoto. Gli risponde Doodles (2021) di Nedko Solakov, operazione site-specific per cui su una parete sono rappresentate delle piccole figure che abitano ed esplorano una vastissima distesa di niente, accompagnate da scritte laconiche che citano esplicitamente gli enunciati dell’opera di Nannucci. Il tema è l’angoscia per il dramma dell’incomunicabilità tra gli esseri umani, dato che, come si legge sulla parete, “saper parlare molte lingue” non implica avere gli strumenti per comprendere davvero il prossimo: il linguaggio è prima di tutto una convenzione vigente tra gli uomini, per non sprofondare nel caos di Babele, ma non è in grado di dare accesso ai livelli più profondi della psiche.

Colonna sonora della mostra è la litania che riverbera nel silenzio del grande ambiente, prodotta dalla bocca semisommersa nell’acqua del mare protagonista dell’opera video I Am the Mouth II (2016) di Agnieszka Polska. Per tragica ironia, la salmodia ipnotica pronunciata dalle labbra di questa Ofelia fantasmatica non può fare altro che esprimere l’incapacità di descrivere a parole ciò che si cela sul fondo del mare, perché “ci sono idee che possono essere espresse solo in un linguaggio che non è ancora stato scoperto”.

Veduta parziale della mostra La realtà, i linguaggi. Nedko Solakov,On the wing (text on the wings of 6 Boeing 737) (2001
Veduta parziale della mostra La realtà, i linguaggi. Rafaël Rozendaal, Abstract Browsing 17 03 10 (Toptenreviews), 2017, tessitura Jacquard, 145 x 107 x 5 cm; Abstract Browsing 19 03 05 (Twitter Login), 2019, tessuto (lana acrilica), 144 x 105 x 5 cm; Endless Nameless, 2021,Dimensioni variabili (4 schermi da 55”), durata infinita; Tomas Saraceno, Radiatus, 2018, fibra di carbonio, corda di poliestere 0,05, corda di velluto nero, anelli di acciaio inossidabile, h 135 x 120 x 120 cm
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