This will destroy you | Jan Hoet

28 Febbraio 2014
Jan Hoet  Still da video Channel four news extra,   Channel four (GB),   25.07.1986

Jan Hoet Still da video Channel four news extra, Channel four (GB), 25.07.1986

Nel febbraio del 1497 muore Johannes Ockeghem. Un numero inusitato di compositori scrive per commemorare il maestro. Johannes Lupi, Erasmo, Jean Molinet, Josquin Des Prez.

Il suo Nimphes Du Bois è un pianto. La meraviglia di quel lamento, sta nella mancanza che Josquin si è inflitto. È inquietante. Chiusa. Personale.

Il segno che si porta addosso, è solitudine. Una sagoma scura.

Non possiamo intonare un necrologio. Non io e te.

Mi ascolti appena e già la febbre dei tuoi occhi mi supera. Siamo uno di fronte all’altro, ma sei solo. Muovo a fatica le dita doloranti nelle scarpe troppo nuove comprate per incontrarti. Cerco la domanda giusta, quella che risolva qualcuno dei miei interrogativi.

È del tutto inutile. Ci sei solo tu.

Allez, allez! Se parli troppo dici troppo poco, se dici troppo, fai poco. Per me è l’arte. È l’arte che resta fondamentale. Con la sua ambiguità. L’arte è l’assurdo. Anche. È ancora possibile, oggi, entrare in un museo e trovarsi davanti a Velasquez. Si può decidere di non guardare Velasquez. Si è liberi di vedere e di non vedere. Volendo si può anche guardare un piccolo dipinto di un artista di terza classe. E questo mi piace. Non siamo obbligati a vedere.

Vorrei sapere degli otto anni passati ad aspettare che qualcosa si smuovesse. Chiederti di quel Matisse venduto per far fronte alle spese. Dei lavori misteriosamente inghiottiti dal tempo. Dei litigi con il grande collezionista. Dell’architetto fatto lavorare gratuitamente. Perché, si sa, toccava rischiare. Di chi non ce l’ha fatta a giocarsi il tutto per tutto e ti ha abbandonato. Degli artisti. Della resistenza. Del sotterfugio. Della paura.

L’arte come identità culturale, questo era importante, ya, ya. Guardi per un attimo la cartina che hai aperto e sistemato sotto alle tue mani, in modo che si veda bene. Accendi un’altra sigaretta. Saluti Rom. Divori con ferocia lo spazio che ti sta attorno pesando la presenza di chiunque lo solchi.

Sei nel tuo regno. Nulla potrebbe sfuggirti. E lo sai bene.

Non mi ammali più. Non mi freghi, Jan. Conosco ormai a menadito quel gesto perfetto, un braccio che si allontana fuori dall’inquadratura per tornare poi, misurato, ad approssimare le mani al petto.

Perché l’arte era sempre lì, lì. Era lì e non qui, e se ne restava in possesso solo delle persone che avevano gli strumenti per conoscerla. Invece io credo debba essere di tutti, anche per il semplice motivo che usa dei soldi di tutti. Penso sia la stessa cosa della politica. Della polizia, dell’istruzione. Dei vigili del fuoco.

Lo sapevi vero, che effetto avresti provocato? Che contraddizioni? Che ansia di capire? Che dannazione?

Il tuo amore estremo. Per l’arte. Fino all’imbroglio, alla menzogna. Come un giocatore. Il profumo dell’azzardo.

Credevo di aver chiuso i conti. Di poter tornare un giorno per vedere il mare ad Ostenda. O quel Jan Van Eyck. Sapevo che non ci saremmo rivisti. Ma non ha nessuna importanza. Credevo che qualcosa fosse finito. Ti sto parlando. Smettila di fare il matto, ascoltami!

Si muovono in modo così diverso le persone matte, non credi? Ne conoscevo tante io. Penso lo facciano perché non indossano un pigiama, ma una sorta di camicia da notte, come le donne.

Cosa guardi dalla finestra?

Gli eroi.

Che progetti hai dunque per i prossimi anni? Per il prossimo periodo?

Allora, … la prossima volta che andrò in un museo, io guarderò sicuramente Velasquez!

Ancora un’occhiata prima di andare. Una zuppa. Del burro. Chiacchiere sullo sfondo della radio.

La fierezza supera qualsiasi bellezza. Impossibile influenzarla.

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Jan Hoet /  23 giugno 1936 – 27 febbraio 2014

Testo di Daniela Zangrando

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