Jacopo Mazzonelli — To be played at maximum volume

Alla Galleria Civica di Trento l'artista ci racconta un universo ibrido in cui il linguaggio musicale e il linguaggio visivo sono mescolati.
22 Novembre 2017

“I miei lavori non sono partecipativi. Sono in completa opposizione rispetto alla fisicità della performance musicale […] Tutti i lavori in mostra alludono al gesto musicale, inteso come ciò che sottende l’esecuzione”. Questa dichiarazione dell’artista trentino Jacopo Mazzonelli (1983), in mostra con la sua prima personale in un museo alla Galleria Civica di Trento – fino al 14 gennaio 2018, a cura di Margherita de Pilati e Luigi Fassi – è significativa perché sintetizza l’aspetto immediatamente visibile agli occhi dello spettatore di To be played at maximum volume: la quasi totale assenza di suono in una mostra che si configura come ricerca sul gesto, sulla sua interpretazione e sulla materia fisica della musica.

Mazzonelli, che si diploma in pianoforte e in musica contemporanea all’Accademia Internazionale TEMA di Milano e comincia parallelamente a realizzare opere attraverso le quali indaga spesso l’elemento sonoro, ci racconta un universo ibrido in cui il linguaggio musicale e il linguaggio visivo sono mescolati. Anzi, per meglio dire, evoca il passaggio tra suono e immagine attraverso i suoi lavori.

Gli strumenti musicali, del resto, hanno per l’artista una doppia identità: sono strumenti ma anche sculture autonome, come dire che hanno una natura immateriale, in quanto produttori di suono ma anche materiale, come oggetti fisici nello spazio. Essi, trasformati dalle mani dell’artista prestigiatore – come indica ironicamente l’opera di apertura della mostra Abracadabra, una cassa armonica di pianoforte convertita a quadro su cui Mazzonelli ha inciso le lettere della parola magica – riconducono silenziosamente al suono, alle azioni che il musicista o il compositore compie per realizzarlo, ma alludono anche al volume fisico dello strumento come nella scultura Solo, nell’installazione Der Tod und das Mädchen o nella serie di lavori Volume, in cui gli strumenti musicali sono resi inservibili perché incastrati in un volume di cemento, un materiale che impedisce al suono di espandersi.

Jacopo Mazzonelli, ABCDEFG, 2015-16 pianoforti verticali Fondo di acquisizione “Di Bene in Meglio”

Jacopo Mazzonelli, ABCDEFG, 2015-16 pianoforti verticali Fondo di acquisizione “Di Bene in Meglio”

Nel 2015 l’artista vince il premio Fondo Privato Acquisizioni per l’arte contemporanea di ArtVerona con un’opera costituita da un pianoforte modificato in modo da poter suonare una sola nota. Grazie al premio, nel 2016 acquista altri sei piani verticali per creare l’installazione ABCDEFG, in cui ogni pianoforte è stato smontato e rimontato per suonare una delle sette note a cui corrispondono le lettere dell’alfabeto. Un’opera che scompone e ricompone il concetto di armonia, nel momento in cui gli strumenti vengono suonati assieme ricreando la scala musicale. La possibilità di decostruire e ricostruire la realtà è infatti alla base di molti lavori di Mazzonelli, realizzati per lo più negli ultimi 18 mesi ad hoc per l’esposizione.

Se si volesse ordinare per linee di ricerca To be played at maximum volume – titolo dato alla mostra ma che deriva da un’opera raffinata e delicata di Mazzonelli che riprende l’indicazione di Bowie scritta sul retro del disco The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (o Ziggy Stardust) del 1972 – si potrebbero elencare diversi temi: anzitutto, la geometria del gesto e la traduzione grafica del suono, come nel bellissimo lavoro video Dido’s Lament, in cui il direttore d’orchestra Leopold Stokowski sembra insegnare a se stesso i gesti direttoriali in una proiezione doppia e muta che dà l’impressione di essere immersa nell’acqua; o nell’installazione Arcata, costruita da archetti di violino trasformati in matite e disposti a parete a mo’ di “diminuendo”; o ancora, le fotografie Ascissa, ordinata, che mostrano Stravinski mentre dirige L’uccello di fuoco e delinea nell’aria una sorta di linguaggio dei segni molto secco e geometrico. E infine, Ètude, che fotografa la progressione percussiva del suono di un pianoforte attraverso i martelletti conficcati nella parete: un lavoro “cronofotografico” e grafico allo stesso tempo, in cui il movimento è cristallizzato e il suono reso attraverso una serie di segni nello spazio.

Altro aspetto: il doppio e il silenzio, come in 1984 e nella suggestiva installazione Double Silence, omaggio a Glenn Gould ma soprattutto ragionamento visivo sulla comunicazione e sulla sua assenza: il volto di Gould è sdoppiato in due schermi di televisore che lo fanno apparire come un pesce in un acquario, non c’è suono e le mani del musicista sono invisibili ai nostri occhi anche se si muovono sulla tastiera del pianoforte.
L’elemento scientifico: reinterpretato nella scultura 16,000 pounds-per-square-inch ma presente anche nel filo di chitarra – già usato come sostegno fragile nell’opera che dà il titolo alla mostra – che assume nell’ultima sala del percorso espositivo la forma di una scrittura nello spazio, rappresentando le formule matematiche dell’eco e delle onde sonore nei lavori Echo e Sound Waves.

E infine, forse il tema che abbraccia tutti gli altri: lo scarto tra realtà e finzione, tra originale e interpretato, tra fisico e metafisico.

Jacopo Mazzonelli - Coro, 2011 leggii, tomi, schermi video, vetro Courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery - Galleria Civica Trento

Jacopo Mazzonelli – Coro, 2011 leggii, tomi, schermi video, vetro Courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery – Galleria Civica Trento

Jacopo Mazzonelli - To be played at maximum volume - Galleria Civica Trento - Installation view

Jacopo Mazzonelli – To be played at maximum volume – Galleria Civica Trento – Installation view

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