Intuition | Palazzo Fortuny. Intervista con Daniela Ferretti

"Dopo aver indagato il tempo, lo spazio, la percezione e la proporzione siamo ritornati all’origine, all’origine della coscienza. Chiudiamo un ciclo tornando al punto di partenza: è il repartir à zéro, il ricominciare da un grado zero, un vuoto che è ovviamente pieno e fecondo."
8 Maggio 2017

Dal  13 Maggio al 27 Novembre 2017 Palazzo Fortuny ospita Intuition, la mostra curata da Axel Vervoordt e Daniela Ferretti: ultimo progetto di una serie di esposizioni realizzate dai Musei Civici con la Axel & May Vervoordt Foundation. I due curatori hanno già dato prova di ottimi progetti cone le mostre: Artempo (2007), In-finitum (2009), TRA (2011), Tàpies. Lo Sguardo dell’artista (2013) e, più recentemente, Proportio (2015). La cornice è sempre Palazzo Fortuny, la casa-museo del celebre e geniale Mario Fortuny, iniziato nel ‘400 e ampliato e trasformato nel corso dei secoli.
Il tema della mostra è tra i più ambigui, l'”intuizione”: dal latino intueor, è una forma di conoscenza non spiegabile a parole, che si rivela per “lampi improvvisi”, immagini, suoni, esperienze. L’intuizione è la capacità di acquisire conoscenze senza prove, indizi, o ragionamento cosciente: un sentimento che guida una persona ad agire in un certo modo, senza comprendere appieno il motivo.
La lista degli artisti è a dir poco eterogenea ed imprevedibile.  Da nomi che hanno fatto la storia del Surrealismo come André Breton, André Masson, Paul Eluard, Remedios Varo, Victor Brauner – tra gli altri – insieme agli esperimenti fotografici di Raoul Ubac e Man Ray, e alle opere su carta di Henry Michaux, Oscar Dominguez e Joan Miró. Artisti che hanno aderito a Cobra, Zero, Spazialismo e Fluxus – Kazuo Shiraga, Pierre Alechinsky, Günther Uecker, Lucio Fontana, Mario Deluigi e Joseph Beuys -, altre opere contemporanee di artisti come Marina Abramovic, Chung Chang-Sup, Ann Veronica Janssens e Anish Kapoor. La lista è lunghissima: Robert Morris, William Anastasi, Isa Genzken, Susan Morris, Kimsooja, Alberto Garutti, Kurt Ralske, Maurizio Donzelli, Berlinde De Bruyckere, Gilles Delmas…
Durante i giorni di apertura i visitatori saranno invitati a esplorare e sperimentare la fantasia paranormale degli artisti attraverso quattro rappresentazioni legate al sogno, la telepatia, e l’ipnosi – della mente e del corpo – realizzate da giovani artisti: Marcos Lutyens, Yasmine Hugonnet, Angel Vergara e Matteo Nasini.

Segue l’intervista con Daniela Ferretti

ATP: Intuition è la sesta mostra che consolida il rapporto tra la Axel & May Vervoordt Foundation e la Fondazione Musei Civici di Venezia. Dopo Proportio (2015), Tàpies, Lo sguardo dell’artista (2013) e TRA (2011), solo per citare le ultime tre esposizioni, ora Palazzo Fortuny ospita Intuition. C’è continuità, dal punto di vista tematico, tra Intuition e le mostre degli anni scorsi?

Daniela Ferretti: Certamente sì. Dopo aver indagato il tempo, lo spazio, la percezione e la proporzione siamo ritornati all’origine, all’origine della coscienza. Chiudiamo un ciclo tornando al punto di partenza: è il repartir à zéro, il ricominciare da un grado zero, un vuoto che è ovviamente pieno e fecondo.

ATP: Il tema è senza dubbio uno tra i più affascinanti, ma è anche molto ambiguo e sfuggente.

DF: Da un’intuizione di Axel Vervoordt ovviamente. Queste esposizioni sono prima di tutto ricerche. Tutto è legato, anche se all’inizio non c’è la coscienza. I temi, le diverse opere e teorie arrivano o nascono senza una finalità preordinata. Come in un viaggio senza meta, ci prendiamo il tempo di esplorare i confini di ogni mostra che decidiamo di costruire. Non ci sono obiettivi, se non partire, e viaggiare per tappe. I percorsi non sono lineari, ma neanche casuali. Nel nostro “metodo” cerchiamo di essere liberi, senza costrizioni o pregiudizi. Ci siamo buttati senza rete in un tema sfuggente, cercando di catturare ciò che è invisibile. Però non ci siamo spaventati, né posti limiti. Abbiamo solo deciso di andare. Portando con noi molteplici compagni di viaggio. Come sempre abbiamo ricevuto molti consigli e contributi da un comitato scientifico eterogeneo, composto da storici dell’arte, come Francesco Poli, neuroscienziati, come Ludovica ed Erik Lumer, e architetti, storici delle religioni e quanto altro, a cui si è aggiunto il prezioso lavoro dei co-curatori Dario Dalla Lana, Davide Daninos e Anne-Sophie Dusselier. Insieme, siamo diventati dei filtri, dei collettori di pensiero. Ognuno dei curatori ha portato il proprio percorso e le proprie esperienze, le proprie tracce letterarie. Quello che presentiamo è dunque il risultato di un lavoro collettivo, nato parlando, confrontandoci e guardando continuamente il tema da punti di vista differenti. Come un fiume in piena, la mostra è il risultato di tanti rivoli che si sono uniti verso una stessa destinazione.

Vincenzo Castella, Castelseprio, Varese 2009 2012 Polaroid (serie) Courtesy: Studio La Città, Verona

Vincenzo Castella, Castelseprio, Varese 2009 2012 Polaroid (serie) Courtesy: Studio La Città, Verona

ATP: Avete deciso di iniziare il percorso tematico proprio dai primordi di quelle che potremmo definire “illuminazioni”, scegliendo delle opere provenienti da culture e aree geografiche disparate. Mi racconta come avete scelto di raccontare l’esordio della “capacità di acquisire conoscenza senza prove, indizi o ragionamenti”, ossia l’intuizione?

DF: La nascita di ciò che noi chiamiamo arte coincide con il momento in cui le intuizioni si reificano in segni. Prima sulle pareti delle grotte, poi nella pietra. Ovviamente ben prima che il concetto di artista o di autore si formalizzasse. Il percorso della mostra si apre con oggetti molto antichi, veri e propri strumenti di comunicazione, che esprimono nuovamente il desiderio tutto umano di provare legami, tra soggetti, e fra soggetti e natura. La nostra lettura del passato è e rimarrà sempre aperta, poiché sarà sempre rilegata nel campo dell’ipotesi e della supposizione. Questa capacità di lettura, aperta all’immaginazione e alla contemplazione, è la stessa che utilizziamo per leggere tutta l’arte che ci circonda, senza distinzioni. Per questo ci si deve concedere del tempo. Di conseguenza chiediamo anche al pubblico, e noi stessi, di trovare il tempo e lo spazio per ascoltare, in silenzio, le opere che popolano Palazzo Fortuny.

ATP: Una degli aspetti più accattivanti che contraddistinguono le mostre a Palazzo Fortuny è il connubio di tra opere d’arte antica, oggetti legati all’antropologie e arte contemporanea. Anche per Intuition avete deciso per un taglio curatoriale eterogeneo e variegato. Il percorso espositivo segue uno sviluppo cronologico o avete scelto un display sincronico dove il tempo è sospeso?

DF: Il percorso espositivo è determinato dallo spazio del Palazzo. La disposizione delle opere, i vari gruppi tematici, tutto viene rimescolato per trovare la propria destinazione all’interno nell’architettura già vissuta e abitata da Mariano ed Henriette Fortuny. L’esempio principale di questa attitudine è sicuramente il piano nobile, al contempo salotto e foro, vero crocevia dove tutti i temi si ritrovano e si concentrano alla ricerca di nuovi confronti, senza cornici cronologiche o geografiche.

Pinot Gallizio, Senza titolo Nero, dalle serie "Neri" (1964) 1964 Tecnica mista e assemblage su tavola Collezione privata Courtesy archivio Gallizio, Torino

Pinot Gallizio, Senza titolo Nero, dalle serie “Neri” (1964) 1964 Tecnica mista e assemblage su tavola Collezione privata Courtesy archivio Gallizio, Torino

 ATP: Una delle correnti che più ha indagato l’aspetto intuitivo o inconscio della mente umana è stata quella surrealista. Con quale selezione di opere sono presenti i Surrealisti in mostra?

DF: Il Surrealismo è sicuramente una corrente centrale all’interno di questa mostra, per la sua indagine puntuale, collettiva e poetica dell’inconscio umano. Ma così anche altri gruppi e correnti del Novecento, come il gruppo Zero, i Cobra, lo Spazialismo, il Raggismo e i Gutai, hanno un ruolo fondamentale nel rendere “attiva” questa esposizione, essendo nuovamente espressione di un dialogo corale e di un desiderio umano di condivisione intuitiva.

ATP: Per giungere nel più stretto contemporaneo, come avete scelto gli artisti presenti? Penso ad artisti come Alberto Garutti, Maurizio Donzelli, Berlinde De Bruyckere, Marina Abramović e Isa Genzken.

DF: Abbiamo scelto gli artisti contemporanei esattamente come abbiamo scelto gli artisti del passato. Senza fermarci a guardare il loro “curriculum”. Solo in base alla giusta risonanza del loro lavoro con il tema della mostra. Garutti e Genzken sono new entries che accompagnano i lavori di artisti che da tempo accompagnano la nostra ricerca, come Kapoor e Berlinde, (imprescindibile che ci segue dall’inizio di questo ciclo di mostre). La presenza contemporanea non vuole essere vista però come in contrasto con la natura di questo luogo. Palazzo Fortuny, prima ancora di essere una casa o un museo, è stato uno studio e un laboratorio. Le sperimentazioni di Mariano Fortuny hanno reso lo spazio quello che è tutt’oggi. Accogliere l’attività degli artisti contemporanei significa semplicemente continuare a rendere omaggio, in modo attivo, alle sensibilità che ancora saturano questi spazi. Ho ripetuto più volte, ma non mi stanco di ripeterlo, che Palazzo Fortuny è stato ed è una fucina di artisti. Capace di accogliere senza attrito i fulmini e i temporali di Alberto Garutti, che trasformeranno l’impianto d’illuminazione storico del palazzo disegnato da Mariano Fortuny, ma anche gli esperimenti con la materia di Nicola Martini, che ha impregnato i muri e il pavimento di una sala con un bitume fotosensibile, capace di modificarne la percezione, esattamente come Kurt Ralske e Giulio D’Alessio, con i loro esperimenti di ombre e suoni, ci accompagnano in una nuova dimensione “meditativa”.

ATP: Durante le giornate dell’opening i visitatori sono invitati a esplorare e sperimentare la fantasia paranormale degli artisti attraverso quattro rappresentazioni legate al sogno, la telepatia e l’ipnosi. Cosa presentano gli artisti invitati a questi progetti?

DF: Una mostra sull’intuizione non poteva non dare spazio alle pratiche performative, che per loro natura mettono in scena il dialogo constante fra mente e corpo alla base del processo intuitivo. Nuovamente il Surrealismo, e in particolare la scrittura automatica, è stato un punto di partenza nella selezione di questi lavori. I danzatori al centro della coreografia di Yasmine Hugonnet continueranno a trasmettersi in silenzio gesti e posture, costruendo un fregio continuo di corpi in movimento creando un nuovo tipo di scrittura automatica, in dialogo diretto con i Cadavres Exquis, i disegni collettivi dei Surrealisti e il bellissimo disegno di Francis Picabia, La danseuse Jasmine. Matteo Nasini invece stamperà in ceramica 3D direttamente nell’Atelier del Palazzo i ‘sogni’ di un dormiente, registrando l’attività elettrica di una fase REM e traducendola in suoni in tempo reale. Sulle “Architetture sonore” di Mireille Capelle, invece Angel Vergara senza l’uso della vista realizzerà dal vivo una nuova serie di dipinti e, infine, Marcos Lutyens ipnotizzerà gli spettatori chiedendogli di disegnare “automaticamente” visioni nascoste.

Thierry De Cordier, Gran Nada 2007-2012 Olio e smalto su tela Ella, Hedan & Dariya Collection

Thierry De Cordier, Gran Nada 2007-2012 Olio e smalto su tela Ella, Hedan & Dariya Collection

Gerhard Richter, Untitled (16.Nov.1995) 1995 Olio su carta Collection De Beuil & Ract-Madoux

Gerhard Richter, Untitled (16.Nov.1995) 1995 Olio su carta Collection De Beuil & Ract-Madoux

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