Il tramonto senza fine di Patrick Tuttofuoco a Peccioli

L'artista racconta il suo nuovo progetto dal titolo Endless Sunset, un’installazione pubblica nel cuore di Peccioli.
24 Febbraio 2021
Patrick Tuttofuoco, Endeless Sunset – Peccioli (Pisa) – Photo Francesco Mazzei.

Endless Sunset (Tramonto Infinito) è il titolo scelto da Patrick Tuttofuoco per la passerella-ponte che collega il centro storico di Peccioli al resto del paese. Il tramonto senza fine identifica una serie di nuclei tematici che l’artista ha scelto di sviluppare nell’istallazione. Innanzitutto il rapporto tra uomo e paesaggio: la passerella permette, a chiunque la percorra, di camminare sospeso, immerso nel paesaggio toscano, e di esperirlo in maniera trascendentale. Il secondo concetto è quello della ciclicità e della ripetitività: la forma scelta, il cerchio, si ripete lungo la passerella in una spirale colorata. Il gradiente cromatico evoca il cielo al tramonto e quell’istantaneo passaggio tra il giorno e la notte, ripetuto, eterno e senza fine. Un progetto complesso, che coniuga funzionalità e praticità ad una ricerca artistica ed estetica, destinato alla popolazione di Peccioli. Patrick Tuttofuoco – che aveva già lavorato a Ghizzano, frazione di Peccioli, nel 2019 con Alicja Kwade e David Tremlett – ha raccontato la genesi di questo imponente progetto, i suoi sviluppi e i suoi significati.

Patrick Tuttofuoco racconta —

La storia è in verità più lunga di quello che si pensa. Oramai due anni fa, ho fatto il sopralluogo per un progetto, non a Peccioli dove si trova il ponte, ma a Ghizzano perché il sindaco – Renzo Macelloni –  e la curatrice – Antonella Soldaini -avevano iniziato un dialogo con gli artisti contemporanei. Questo dialogo, in verità, affonda le proprie radici negli anni Novanta – con un intervento di Alberto Garutti – grazie soprattutto al sindaco che è riuscito ad proporre una progettualità culturale basata sull’arte contemporanea. Giunto lì, sono stato chiamato ad intervenire a partire dalla cappella di Benozzo Gozzoli, che si trova nel comune, e ho cercato di prendere degli elementi che provenivano da quel pezzo di storia e di paesaggio che, a livello identitario, tutti riconoscevano come proprio. Quando l’ha realizzata, probabilmente, la percezione di quell’opera sarà stata diversa: oggi viene intesa più come un pezzo di paesaggio che non come un lavoro dell’uomo. In tal senso, si ha un’estensione del concetto di pubblico, inteso come “di tutti” e non come “non appartenente a nessuno” e quindi privo di interesse. Andando lì, ho conosciuto le persone e ho pensato che fosse bello che un’artista riuscisse ad infilarsi nelle trame delle esistenze e diventasse parte del paesaggio e quindi dell’esperienza identitaria della gente che poi quel paesaggio lo vive. Partendo da questa riflessione, ho sviluppato degli elementi costruendo interventi nel borgo di Ghizzano insieme ad Alicja Kwade e David Tremlett in un progetto molto ambizioso. Dopo la mostra è nato un dialogo con il luogo da parte mia, un appassionarsi a quel luogo per ragioni estetiche ma anche per delle condizioni speciali: il comune era un contesto dove la popolazione era stata, grazie al lavoro della curatrice e del sindaco, sensibilizzata a tal punto da considerare anche gli interventi contemporanei come parte del loro patrimonio e non come una spesa superflua. In quel periodo stavano già progettando il ponte – un vero ponte percorribile – per risolvere un problema urbanistico e di circolazione, spostando il traffico dal centro storico al di fuori. Essendo il paese sopra un declivio, serviva un sistema per raggiungere il centro, un collegamento fisico. Il sindaco ha quindi pensato, andando il collegamento ad inserirsi con forza nel paesaggio, di dargli un senso, un valore che andasse al di là della semplice funzione di collegamento. Da quest’idea, è nato il desiderio di chiedere ad un’artista di completare il ponte e il conseguente processo di ricerca. Avevano già iniziato a costruire prima che arrivassi io ma per una serie di vicissitudini pratiche e tecniche era passato del tempo: mi chiesero se avessi voluto completare quel ponte, cosa che avevano già provato a fare con altri artisti ma senza successo. Ad opera strutturale iniziata e, anzi, pressoché finita, mi hanno proposto di provare ad entrare in questo organismo complesso, nato per un altro intervento, e cercare di trovare un equilibrio.

Patrick Tuttofuoco, Endeless Sunset – Peccioli (Pisa) – Photo Francesco Mazzei.

Era una sfida: già è una sfida lavorare ad un progetto del genere così grande e permanente, e lo è ancora di più quando nasce da una serie di istanze che non sono totalmente controllate da te. Questa sfida, chiaramente, ha reso il tutto ancora più emozionante. Ho accolto positivamente la loro proposta e quello che ho fatto è stato ritrovare un contatto con il territorio che già conoscevo e che avevo visitato, cercando di registrare elementi della storia identitaria di quel luogo ma con una nuova linfa e un nuovo sguardo. La progettazione, contrassegnata da piacevolissimi incontri, ha portato a Endless Sunset: il progetto rappresenta l’idea del rapporto uomo-paesaggio, trascendente e quasi mistico, che si ha quando ci si mette in contemplazione della natura. La scala dell’intervento è gigante e si inserisce nel paesaggio in maniera forte: ho cercato di trasmettere una narrazione, del lavoro e soprattutto del luogo, che avesse un qualche cosa di più assoluto – a differenza dell’intervento precedente a Ghizzano, legato più al mio lavoro di scultore – con un linguaggio più essenziale, semplice (inteso come capacità di sintetizzare, rendendo superflua la parola e necessaria l’esperienza). L’idea del rapporto uomo-paesaggio e l’essenzialità delle forme che volevo tirare fuori mi hanno condotto ad immaginare una forma, un periodo, inteso come ciclicità di una forma che si ripete esattamente come l’alternanza del giorno e della notte, producendo un risultato cromatico – pensando al cielo – emozionantissimo. Il cielo a cui mi riferisco è un cielo estivo, dove i colori esplodono ed è quel cielo che a livello contemplativo mi interessava: giocando con il tempo, era quel cielo che avrei voluto estendere all’infinito (endless, senza fine). La forma e il gradiente cromatico dovevano raccontare quest’idea di infinito, di ciclicità e di ripetizione, con una complessità semplice: detta così sembra un paradosso, ma è proprio quello che cercavamo di ottenere a livello progettuale, insieme all’inserimento del ponte nella narrazione di qualsiasi essere umano – al di là del livello del suo vocabolario di riferimento e del suo linguaggio artistico -e nella vita quotidiana di chiunque in maniera poetica. Il gradiente cromatico fa avanti e indietro in questa specie di elica che si avvolge – in realtà un cerchio trasformato tridimensionalmente – e che si trasforma, raccontando la ciclicità che si ripete costantemente cambiando colore. È il gradiente di questo tramonto che in qualche modo si è trasformato da esperienza e da emozione del paesaggio in forma. In qualche modo, Endless Sunset incarna questo momento: l’esperienza di collegare il centro città con il fuori diventa un’esperienza fisica lunga, espansa nello spazio, che presuppone un tempo di percorrenza. Al centro si collocano di nuovo spazio e tempo, arricchiti da un’esperienza sensoriale che racconta qualcosa: da un lato, la gioia del ripetersi di un colore molto semplice, dall’altro – se si ha voglia di addentrarsi nella storia – il comprendere la ciclicità, il rapporto uomo-paesaggio e spazio-tempo. 

Veronica Pillon: Il rapporto uomo-paesaggio lo pensi come un momento di contemplazione privata, del singolo individuo, o come un momento di contemplazione collettiva? 

PF: Secondo me è un’esperienza collettiva: il cielo, infatti, è pieno di colori, intenso; i colori sono validi tutti e non ce n’è uno bello o brutto, giusto o sbagliato. Un cielo che celebra l’unione: d’altronde è quello che fa un ponte, unire. L’esperienza è trasversale e aperta a tutti ed è, fisicamente, un’esperienza di collegamento. Nessun uomo è un’isola o si percepisce come tale ma è sempre parte di una collettività. Nel momento in cui ci trova sopra a 30 metri da terra, si vede il paesaggio attorno a sé, restando inframezzato tra forma e paesaggio. L’esperienza del paesaggio è importante perché si vede questa forma rotonda, morbida, vibrata e armonica tipicamente toscana. Queste cose hanno influito profondamente sulla forma di questo lavoro. L’esperienza è pensata su larga scala: certo, è possibile fruirne individualmente, ma il concetto è quello di unire e non di dividere singoli elementi.

Patrick Tuttofuoco, Endeless Sunset – Peccioli (Pisa) – Photo Francesco Mazzei.

VP: Il ponte si inserisce in maniera importante all’interno del paesaggio, dialoga con lo stesso e lo modifica. Parlando di sostenibilità, com’è stato realizzato a livello di materiali e di tecnica?

PF: Il ponte è stato realizzato con materiali semplici, soprattutto per quanto riguarda il mio intervento artistico, essendo la struttura fisica del ponte realizzata in precedenza, su cui ho poi applicato un concetto e un’idea. È stato scelto l’acciaio inox: doveva essere un materiale che non soffrisse le intemperie, ma è fatto in maniera artigianale. Se l’oggetto è evidentemente industriale, la lavorazione è artigianale perché per piegare l’acciaio e far vedere quelle forme che volevamo, ogni singolo pezzo è stato artigianalmente snervato di modo che lo scatolato, se fosse tagliato, sarebbe vuoto. È stata un’operazione di snervatura e di tiraggio fatta con l’acciaio. L’oggetto ha quindi le proporzioni dell’industria ma anche il rapporto con l’artigiano e l’artigianalità della mano. Successivamente è stato verniciato a mano con vernici ipossidiche, pensate per resistere all’esterno – di natura industriale – mentre il tipo di colorazione è fatta a mano: ancora una volta, il materiale è dell’industria mentre la lavorazione è artigianale, in una sorta di dualismo. 

VP: L’opera è attualmente percorribile?

PF: L’opera è già percorribile ma, essendo pubblica, esistono delle fasi di collaudo imprescindibili. In ogni caso è già stata provata e avrà inizio una nuova fase di estensione del progetto. Una parte di passerella è ancora vuota perché non eravamo sicuri di inserire altri elementi e abbiamo deciso di procedere per gradi. A cavallo dell’anno nuovo, è stato deciso all’unanimità di proseguire questa forma e concludere tutta la passerella, anche se funziona già così – la forma è di fatto un periodo e si può estendere – ma finiremo quest’ultima parte. Quando la forma verrà conclusa sarà percorribile nella sua interezza. 

VP: La popolazione residente come ha reagito all’inserimento di quest’opera contemporanea così imponente? 

PF: Abbiamo ricevuto moltissimi feedback positivi. Facendo continui sopralluoghi, abbiamo conosciuto gran parte della popolazione che ha seguito tutte le fasi di montaggio, particolarmente spettacolari essendo l’oggetto così grande. I feedback sono stati molto positivi e tutti ci chiedevano perché non l’avessimo già finito! 

VP: Endless Sunset è il progetto più grande – metaforicamente e fisicamente parlando – a cui tu abbia mai lavorato? 

PF: Sì, decisamente sì. È sicuramente il progetto più grande, sia per un discorso di grandezza fisica, sia come tipo di commessa e d’impegno. L’intervento è permanente quindi bisogna confrontarsi – essendo il lavoro basato anche sul concetto di tempo, sulla ciclicità e il ripetersi – con il tempo e con la permanenza, che diventa inevitabilmente un tema. L’intervento pubblico e permanente unisce due istanze che aumentano la complessità in maniera esponenziale e che sono diventate un elemento di riflessione, rendendo questo lavoro – fisico ma soprattutto come esperienza e pratica artistica – uno dei più complessi. Forse anche il più grande di tutta la vita: non è scontato, per un artista, realizzare un lavoro permanente e non è nemmeno necessario. Diciamo che c’è stata questa possibilità e l’ho colta a braccia aperte. 

Patrick Tuttofuoco, Endeless Sunset – Peccioli (Pisa) – Photo Francesco Mazzei.
Patrick Tuttofuoco, Endeless Sunset – Peccioli (Pisa) – Photo Francesco Mazzei.
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