I (never)explain #128 | Giovanni Termini

Quello che maggiormente trovo interessante nella rielaborazione del lavoro è guardare infatti a un’opera che si rigenera nello spazio e nel tempo, vista come un’architettura in costante movimento, che si espande e si rinnova di continuo, e che personalmente devo dire che mi accomuna ad alcune riflessioni poste al centro dell’attenzione da Kurt Schwitters.
6 Ottobre 2021
Giovanni Termini, Armatura, 2013-2021
Legno da carpenteria e ferro – Photo credit Michele Alberto Sereni

Armatura. Per un’architettura in costante movimento 

Armatura è un lavoro che ho realizzato nel 2013 in occasione del progetto Disarmata, la mia personale al Centro Arti Visive la Pescheria di Pesaroche oggi è stata ripensata per una nuova mostra, curata da Marco Bazzini, al Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni a Pistoia, nello spazio che ospita la Scultura d’ombra di Claudio Parmiggiani. Devo dire che dopo circa 8 anni dall’ultimo allestimento sono molto felice che Armatura sia presente insieme ad altri lavori, alcuni dislocati e disseminati in spazi neutri del museo e altri in dialogo con la sua collezione permanente, nelle sale storiche. Se devo parlare nello specifico della ricollocazione del lavoro, non posso non parlare che di una nuova sfida perché si tratta proprio di una nuova spazializzazione, di un riposizionamento (anche ideologico), di un rapporto differente con lo spazio circostante e dunque con il contesto. Quello che maggiormente trovo interessante nella rielaborazione del lavoro è guardare infatti a un’opera che si rigenera nello spazio e nel tempo, vista come un’architettura in costante movimento, che si espande e si rinnova di continuo, e che personalmente devo dire che mi accomuna ad alcune riflessioni poste al centro dell’attenzione da Kurt Schwitters.

In una delle otto colonne della struttura, intesa come una sorta di innesto, è stato costruito questa volta un pulpito (da qui il titolo della mostra da quale pulpito) con sopra posizionata una comune sedia, spesso utilizzata nelle manifestazioni e negli eventi cittadini. Tra l’altro, innestando il pulpito sulla colonna e la sedia sul pulpito, si è generato un nuovo rapporto con lo spazio circostante perché il pubblico può potenzialmente sedersi e guardare, attraverso una delle due finestre della sala in cui è collocato il lavoro, la Pieve di Sant’Andrea che a sua volta contiene al suo interno un altro pulpito, quello di Giovanni Pisano.

Nel 2013 la situazione politico-economica era molto difficile, e quando fui invitato a pensare a un progetto espositivo per la Pescheria a cui diedi il titolo Disarmata, ho iniziato a immaginare un atto unico, quindi a una sola opera capace di occupare l’ex chiesa del suffragio, già da anni annessa allo spazio del centro espositivo. Personalmente sostengo che lo spazio è in sé il pretesto per denunciare, attraverso storie residuali già presenti nel luogo, aspetti legati all’essere-tempo e al suo divenire. 

Giovanni Termini, Armatura, 2013-2021
Legno da carpenteria e ferro – Photo credit Michele Alberto Sereni

Armatura, vale la pena ricordarlo, è una riflessione sullo stato socioeconomico italiano. Quando la realizzai gli economisti italiani continuavano a ribadire che il sistema economico era solido e che nessuno correva grossi rischi se investiva i propri soldi nel mattone, mentre paradossalmente proprio davanti al mio vecchio studio si ergeva una enorme cassaforma per cemento che attendeva da anni di essere gettata e quindi riempita.
Era immobile. Io osservavo tutti i giorni l’evolversi del cantiere e iniziavo a sentirmi il protagonista dell’opera teatrale di Samuel Beckett Aspettando Godot. Non nascondo che, come ho rilasciato in diverse interviste, mi sono sentito sempre affascinato da quei luoghi, operativi e quindi di costruzione, che identifico come degli spazi dove tutto può accadere, un po’ come nella nostra esistenza. Ho sempre rivolto la mia attenzione ai processi più che ai risultati che ne possano scaturire. 

Ho ritenuto che questo lavoro dovesse essere nuovamente presente in una mia esposizione. Forse perché penso che una delle qualità dell’uomo risiede nella sua instabilità (come instabili sono i materiali che utilizziamo), nel bilico che possiamo trovare nei cantieri, dove tutto può accadere e anche fermarsi per anni. Qui, inoltre, troviamo tutta una serie di simboli come i ferri (cravatte) quotidianamente in tensione che cingono i pilasti anche se lo spazio del cantiere è spesso deserto e le macchine sono spente, i materiali accatastati e una carriola magari è sospesa con una catena da una gru.  

Per me la creatività si nutre di tutti quei conflitti che la società  cerca, inutilmente, di sedare. Il pulpito è, oggi, per me, un nuovo punto di vista estetico sul mondo, utile a far riflettere il pubblico sulle cose del nostro tempo. 

Giovanni Termini, 28 settembre 2021

Giovanni Termini, Armatura, 2013-2021
Legno da carpenteria e ferro – Photo credit Michele Alberto Sereni

Per leggere gli altri interventi di I (never) explain

I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.

Hanno contribuito alla rubrica Zoe De Luca, Simona Squadrito e Irene Sofia Comi

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