I (never) explain #60 – Alessandro Scarabello

"Ho concepito l’opera come tentativo di lavorare sulle trasparenze, anche per assecondare il desiderio di rendere al meglio la sensazione di spazio all’interno della composizione; in poche parole, mi sono posto il tema di come rendere l’aria che circola all’interno del quadro."
31 Gennaio 2020
Alessandro Scarabello, Sphinx 2017, olio su tela, cm 101×89, courtesy The Gallery Apart, collezione privata

Sphinx, 2017, olio su tela, cm 101×89, è un’opera che si inserisce tra due fasi cruciali per la mia ricerca.

Tra il 2015 e il 2016 ho realizzato una serie dal titolo “The Garden of Phersu” che ho poi esposto nel 2017 a Roma presso la sede di The Gallery Apart. Ne sono uscito rinnovato. L’astrazione ha cominciato a diventare una presenza importante e, seppure in un contesto caratterizzato da una figurazione più marcata, la pennellata si è liberata in favore di una maggiore gestualità, i colori sono cambiati diventando più caustici ed ho iniziato a fare a meno di immagini precostituite; insomma, una fase propedeutica a quello che si sarebbe concretizzato in seguito fino a oggi.

L’opera in questione si articola temporalmente in due fasi: la prima con la stesura iniziale e un lungo periodo di sedimentazione e la seconda brevissima e risolutiva. Mi succede spesso che le opere dimenticate in un angolo, inizialmente ai miei occhi poco convincenti, diventino poi quelle che con più forza parlano di me e del mio modo di vedere le cose.

Ho concepito l’opera come tentativo di lavorare sulle trasparenze, anche per assecondare il desiderio di rendere al meglio la sensazione di spazio all’interno della composizione; in poche parole, mi sono posto il tema di come rendere l’aria che circola all’interno del quadro. Il soggetto inizialmente (si riesce a vedere in trasparenza nella stratificazione della superficie) era costituito da un torso con giacca e cravatta, e le mani, vicine l’una all’altra, nell’atto di impugnare qualcosa. Una leggera struttura triangolare compenetra la figura e conferisce già alla composizione qualcosa di magnetico e strutturale. Da qui in poi comincerò a usare in molte opere questa struttura/figura aquiliforme, presa da un oggetto di uso comune, fino a tirarla fuori dallo sfondo e indagarne la carica simbolica. I toni tendono al blu e al grigio e interagiscono con le proprietà qualitative della tela.

Dettaglio
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Ho lasciato l’opera in questa fase ma ricordo di aver provato la sensazione che nascondesse qualcosa d’importante e sono passato quindi a lavorare sulla serie “Phersu” accantonando la tela arrotolata in un angolo.

A distanza di un anno, dopo aver inaugurato a Roma la personale, mi sono ritrovato a dover cambiare studio spostandomi in uno spazio troppo stretto, con una buona luce ma che per qualche ragione riverberava su tutte le pareti su cui potevo lavorare. Ero a Bruxelles già da quasi due anni, e il master al KASK di Ghent, il trasferimento e altre vicende di vita avevano avuto conseguenze sul mio stato d’animo. In quel momento ho capito che la lontananza da Roma aveva cambiato me e il rapporto che avevo con quella città. Ho cominciato a “usarla” come fonte d’ispirazione con tutta l’eredità culturale che mi apparteneva, formulando una mia visione intima e materica di ciò che ha da sempre rappresentato. 

Mi sono riappropriato di molti interessi, la classicità, la statuaria, l’archetipo, cercando di capire le mie sensazioni e ho ripreso in mano figure dell’arte che ho sempre sentito vicine ma mai realmente assorbite, come ad esempio Gino Bonichi (Scipione).

Non so se per casualità o intenzione inconsapevole, ma è con questa opera che il mio comportamento con la tela è cambiato. Sphinx, è per me un’opera fondamentale che determina la mia identità come artista, e prende fortissima ispirazione dalle forme delle statue della fontana del Moro nell’opera “Piazza Navona” (1930) di Scipione.

Fontana del Moro, Piazza Navona, Roma

In studio, cercando stimoli tra le varie tele arrotolate, ho trovato l’opera con il torso in giacca e cravatta e l’ho appesa al muro. È rimasta lì un paio di giorni e dopo aver scansato esitazioni su come interagire con l’immagine esistente ho cominciato a lavorarci avendo come riferimento il quadro di Scipione. Tracciando pennellate rapide e concentrate prima che l’adrenalina finisse, ho raggruppato le forme forzandone la vicinanza e, al contrario dell’opera scelta a modello, ho spostato a destra il corpo nudo visto da dietro, ho posto al centro la figura del tritone che suona il corno con un tritone alla sua sinistra mentre l’altro è stato estromesso.

Ricordo ancora la sensazione vissuta al momento di lasciare lo studio; ho percepito subito di essere arrivato a qualcosa d’importante, qualcosa di nuovo per me, che ha a che fare con la sintesi, un bisogno che avvertivo già da qualche anno nell’arte come nella vita. Tornando in studio il giorno successivo ricordo di aver incontrato il mio vicino di studio dell’epoca e amico pittore Davide Serpetti e di essermi confrontato con lui. Guardando insieme l’opera, Davide ha immediatamente notato un diverso e insolito approccio, restandone sorpreso, il che ha rafforzato in me la voglia di procedere. Ho osservato l’opera per un’ora, dopodiché ho tracciato in corrispondenza di alcuni specifici punti della tela delle linee di bianco di titanio direttamente con il tubo di colore. A quel punto mi sono fermato.

Studio 2017

Considero Sphinx importante per tanti motivi:

è un’immagine messa a nudo, dove si vedono chiaramente le forze, i moti che la generano;

per la sua forte sintesi e per la sua strana armonia;

per la sua carica enigmatica da cui il titolo di sfinge;

per la sua struttura ai limiti del funzionale;

perché è un’immagine colta allo stato metamorfico.

Continua ad attrarmi perché non è ferma;

perché è una immagine generata da me ma che più di altre si separa da me;

perché è al contempo organica e mentale;

perché quando la osservo, diventa ai miei occhi un dispositivo per l’eros, il mito e l’archetipo.

Quindi non è più mia.

Dettaglio
Alessandro Scarabello, Sphinx 2017, olio su tela, cm 101×89, courtesy The Gallery Apart, collezione privata

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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.

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