ATP DIARY

How to Display — Teatrino di Palazzo Grassi

Ultimo appuntamento “Intorno a Slip of the tongue” – si è svolto venerdì 20 novembre, sul palco del Teatrino di Palazzo Grassi – a cui ATPdiary dedica un approfondimento. Si sono alternati prima la storica dell’arte Patricia Falguières e l’architetto...

Interno mostra "Slip of the tongue" con la “French Curve”  di Nairy Baghramian in primo piano  - Punta della Dogana,   Venezia
Interno mostra “Slip of the tongue” con la “French Curve” di Nairy Baghramian in primo piano – Punta della Dogana, Venezia

Ultimo appuntamento “Intorno a Slip of the tongue” – si è svolto venerdì 20 novembre, sul palco del Teatrino di Palazzo Grassi – a cui ATPdiary dedica un approfondimento. Si sono alternati prima la storica dell’arte Patricia Falguières e l’architetto storico dell’arte Philippe Duboy, e successivamente gli artisti Nairy Baghramian, Bertrand Lavier, Jean-Luc Moulène insieme ai loro curatori Danh Vo e Bourgeois.

Philippe Duboy e Patricia Falguières sottolineano come negli ultimi decenni il criterio principale nella museologia sia  diventato la frequentazione: in tutto il mondo il museo, dagli anni settanta in poi, conosce una moltiplicazione delle proprie sedi, sebbene questa crescita non sia accompagnata da una riflessione che sia proporzionale all’ampiezza del fenomeno. Nell’Italia del dopoguerra c’è una forte spinta verso una nuova cultura, in opposizione al peso del precedente ventennio totalitarista: all’interno delle sale museali il display assume un ruolo di operazione culturale con molteplici applicazioni, tese a ridefinire il progetto moderno di allestimento. C’è un momento di incontro tra il ruolo assunto dagli architetti nelle mostre, come la riorganizzazione dei musei, e quello che è un progetto politico di ridefinizione dello spazio democratico: l’allestimento rappresenta cioè una chiave culturale e al tempo stesso politica.

Il regime estetico non è più uno stile né un approccio: torna ad essere un progetto di emancipazione democratico, un modello di educazione tramite il museo, concepito inizialmente dai grandi riformatori dell’Ottocento e del Novecento e ripreso oggi anche da Jacques Rancière nell’assunto che l’autonomia estetica sia anch’essa favorevole all’emancipazione del lavoratore. Si tratta perciò di ritagliare uno spazio materiale simbolico autonomo, una sfera particolare dell’esperienza sensitiva nel continuum sociale: non è più infatti politica soltanto la rappresentazione di ciò che concerne strettamente e prettamente la politica stessa, ma bensì anche la riflessione collettiva sullo spazio civico assume funzione fondamentale. Tant’è che l’odierno approccio formale e modernista considera ambiti quali l’arte industriale e l’architettura, in un’ottica, come sostiene Giulio Carlo Argan, per cui ogni museo ha come vocazione di essere un nuovo Bauhaus. Un’impostazione che la politica inserisce nei progetti di rinnovamento dello spazio museale, tramite i quali, sempre nell’ottica di superare il fardello lasciato dai regimi totalitari, pone inizialmente il white cube al centro di lavori di disgiunzione, di anacronismo e di estraneazione.

Parallelamente è oggetto d’attenzione per Falguières anche un altro nuovo punto di vista del secondo dopoguerra nel ripensare gli spazi museali: essi sono pensati dall’interno e lo spazio, nell’idea di diversi architetti, si manifesta come un prolungamento dell’arredamento; una forma di architettura d’interno, sostenuta da una filosofia dell’arredamento. Un’architettura che si esprime più tardi anche verso l’esterno collocando il museo contemporaneo come un elemento nel suo paesaggio. Ne consegue che il gesto espositivo, in sintesi, deve e vuole sempre essere un progetto critico teso a evitare di ricreare un’atmosfera o un contesto; la funzione consolidata del museo diventa perciò la proposizione di nuove esperienze dello sguardo, sulla base di una costruzione del vuoto per costruire l’esperienza umana.

Segue poi, moderato dalla stessa Falguières, un dialogo tra il pubblico e il panel di artisti/curatori di “Slip of the tongue” cercando di declinare quanto di storico e teorico detto finora nella mostra di Punta della dogana. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: “La mostra veneziana – a parlare è Danh Vo – raccoglie molteplici artisti e correnti di pensiero, e la reciproca influenza nel cercare un punto di equilibrio è stata sia uno stimolo sia un obiettivo sfidante. E’ facile comprendere le libertà di una personale di fronte alla necessità di accordo di una collettiva, ma ciò nonostante alcune scelte presentano un carattere abbastanza radicale”. Prosegue a ruota Bertrand Lavier raccontando un pittoresco ricordo, condiviso con i presenti sul palco: “Ognuno rappresentava la propria pratica e portava con sé esperienze e caratteristiche personali: poi una sera, tutti insieme a cena, tramite una piacevole discussione siamo arrivati a un tema condiviso e un’interazione comune nel comporre la mostra. Non abbiamo pianificato, è semplicemente successo”.

lato sinistro “Untitled (With brick in brick)” di Marting Wong e lato destro “Oma Totem” di Danh Vo - Punta della Dogana,   Venezia
lato sinistro “Untitled (With brick in brick)” di Marting Wong e lato destro “Oma Totem” di Danh Vo – Punta della Dogana, Venezia
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