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Le riflessioni sul tempo di Guido Guidi Viasaterna, Milano

[nemus_slider id=”50147″] Il titolo della bella mostra ospitata in Viasaterna (Milano) di Guido Guidi si presta ad essere un preambolo a dir poco affascinante: “Col tempo – Nei dintorni di Carlo Scarpa”. Il titolo cita un famosissimo ritratto che Giorgione...

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Il titolo della bella mostra ospitata in Viasaterna (Milano) di Guido Guidi si presta ad essere un preambolo a dir poco affascinante: “Col tempo – Nei dintorni di Carlo Scarpa”. Il titolo cita un famosissimo ritratto che Giorgione fece a sua madre nel 1506 (circa), “Vecchia”. Il dipinto mostra una donna anziana di tre quarti nell’atto di rivolgersi a chi la guarda. Del corpo si vede solo il busto e una mano che, posta davanti al petto, trattiene un cartiglio con la scritta: “Col tempo”. Guido Guidi cita questo famoso quadro forse per alludere ad un’amara riflessione sull’invecchiare o,  probabile, per esortare a fare attenzione al passare del tempo, crescere e imparare anche grazie a esso.

Cosa spinge un noto fotografo come Guido Guidi a volere entrare “nel processo mentale” di un altrettanto noto architetto come Carlo Scarpa? Affascinato fin dai tempi dell’università – siamo nei primi anni ’60 alla IUAV di Venezia – dall’operato di Scarpa, Guidi vuole tornare ragazzo, studente che apprende e scopre. Nonostante la conoscesse già molto bene, decide di imparare da uno dei capolavori dell’architettura del ‘900 italiano: la Tomba che Carlo Scarpa ha realizzato per la famiglia Brion a San Vito di Altivole, in provincia di Treviso. Due sono le scelte fondamentali del fotografo: concepire questo luogo come un ‘tutto’ o meglio come un ‘mondo’ – come specifica lo stesso Guidi nell’ottimo testo pubblicato nel libro “Guido Guidi – Carlo Scarpa’s Tomba Brion”  edito da Hatje Cantz – e designare come strumento che gli indicasse la via da seguire per un miglior apprendimento la camera fotografica. Interrogazioni, approfondimenti, scoperta di dettagli, analisi scientifiche: queste le azioni che consentono allo “studente” di imparare dal “testo visivo notevole” che è l’architettura. E, grazie a quest’ultima, fare un ulteriore passaggio: considerarla non solo come ‘manufatto’ progettato, ma anche come macchina attraverso cui guarda il tempo o, meglio, come spiega, osservare “l’architettura stessa nel suo farsi: i muri progettati a raccogliere l’ombra che si muove dall’alba al tramonto, la proiezione di se stessa sulle sue stesse pareti. Ma d’altro canto si trattava anche di interrogare il medium fotografico riscoprendone la sua antica e primaria attitudine: nelle parole di W. H. F. Talbot, ‘l’arte di fissare le ombre’”.

Il percorso non facile intrapreso da Guidi inizia nel 1996, in una soleggiata mattinata di agosto. Già agli esordi del suo progetto, sembra avere una rivelazione: la luce e il suo mutare disegnavano, sopra al luogo già ben connotato di sapienti disegni, un’ulteriore trama segnica da studiare. Come prima parte decide di immortalare la cappella e, nel gioco di aperture e chiuse dell’ambiente, filtra la luce che disegna un triangolo o, meglio, una freccia. Memore degli studi giovanili, Guidi associa questo elemento a Paul Klee, in particolare agli studi che il pittore fece sul concetto di ‘freccia del tempo’. Da questa prima direzione, l’anno seguente ne scopre un’altra, questa volta però la freccia non è più luminosa, bensì è composta dal suo contrario, dall’ombra disegnata dalla proiezione trapezoidale del padiglione sullo specchio d’acqua che fiancheggia il giardino. Siamo a Gennaio, le ninfee non hanno ancora coperto lo specchio d’acqua, che d’inverno è piatto come un foglio.

Da questi due appuntamenti ‘opposti’ – estate/luce, inverno/ombra – parte il percorso conoscitivo  che durerà circa dieci anni, punteggiato da stagioni, ore e giorni sempre diversi, sempre rivelatori di nuovi contorni, profili e segni transitori. Nell’immortalità del genio, nell’incommensurabile capacità di Scarpa, Guidi ‘annota’ un dedalo di tracce e appunti visivi che raccontano della caducità del ‘mondo’ o del ‘tutto’. Tra le tante scoperte del fotografo, anche l’ “autoritratto che Scarpa sembra aver costruito nella sua architettura, con occhi e naso-becco di civetta o di falco”.  Questa rivelazione nasce da un azzardo: la rotazione di 90° della fotografia. Guidi vede occhi, naso, bocca, ma anche espressioni e visionarie associazioni: dai dipinti di Max Ernst alla forma di pesci, dalle frecce tipiche di Klee a Caronte, traghettatore delle anime. Affascinante, il viaggio che Guidi percorre (o ripercorre seguendo i passi di Scarpa), si trascina a nostra volta in un avvincente itinerario fatto di immagini di visioni, architettura, contrasti tra luce e ombre, ma anche, e soprattutto, tra diverse concezioni del tempo: statico, ritmico, mutevole e ingannevole. Le sequenze esposte in mostra – non cronologiche, ma topiche – ci raccontano sia il rigoroso carattere scientifico che le connota, ma anche una notevole lezione sull’ “atto del guardare”, su come si impara osservando, su dove mettere a fuoco non tanto l’attenzione, ma la sensibilità. Continuando a leggere le note al lavoro che Guidi ha scritto  si scoprono i tanti passi che ha compiuto sulla via della rivelazione, seguendo simmetrie (o giochi d’acqua), ribaltamenti (fotografici e di significato), riflessioni (luminose o intellettuali) …

E’ un piacere come pochi, dunque, poter attraversare un’esperienza di questo tipo – costruita con  un ideale calibro (e mi riferisco, a livello metaforico, allo strumento che serve per il controllo rapido delle dimensioni dei pezzi lavorati nella meccanica di precisione) da Fantom (Selva Barni, Massimo Torrigiani e Francesco Zanot) – dove ogni sequenza fotografica corrisponde ad un’azione “del guardare meglio” o prendere consapevolezza sull’impossibilità di poterlo fare perché, come chiosa Guidi: “Se avessi potuto avrei bloccato il sole di tanto in tanto – don’t move – e io correre in giro a registrare quale era la luce nelle altre parti della tomba.”

E in questo sembra svelarsi il mistero non solo di Guidi, ma anche dello stesso Scarpa: dialogare con l’ineluttabile consapevolezza dell’impossibile, non solo di fermare, ma anche di conoscere quel flusso impalpabile (e inarrestabile) che è il tempo.

Col tempo,   Guido Guidi - Installation view  ® Viasaterna
Col tempo, Guido Guidi – Installation view ® Viasaterna
Guido Guidi,   da La tomba Brion di Carlo Scarpa,   #16969,   09-06-2006,   around 12.05pm,   looking north,   c-print,   framed cm 41,  5x46,  5 © Guido Guidi courtesy Viasaterna
Guido Guidi, da La tomba Brion di Carlo Scarpa, #16969, 09-06-2006, around 12.05pm, looking north, c-print, framed cm 41, 5×46, 5 © Guido Guidi courtesy Viasaterna
Guido Guidi,   da La tomba Brion di Carlo Scarpa,   #1179,   29-01-1997,   3.40pm,   looking northwest,   c-print,   framed cm 41,  5x46,  5 © Guido Guidi courtesy Viasaterna
Guido Guidi, da La tomba Brion di Carlo Scarpa, #1179, 29-01-1997, 3.40pm, looking northwest, c-print, framed cm 41, 5×46, 5 © Guido Guidi courtesy Viasaterna