Goshka Macuga: To the Son of Man Who Ate the Scroll – Fondazione Prada Milano  

L'artista espone un discorso totale, coerente, omogeneo, pur nella sua varietà e capacità di rinnovarsi ed espandersi, una costellazione di elementi il cui senso d'insieme sembra risiedere nei legami invisibili tra le parti, nel coro formato dalle singole voci, nella pluralità di vettori in tensione...
8 Febbraio 2016

  • Goshka Macuga, Al la filo de la homo kiu manĝis la skribrulaĵon, 2016 - Lettura di libri in Esperanto ogni sabato e domenica alle ore 17 Performer: Valeria Sara Constantin Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
  • Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, Configuration #, Transhumanism: Donna Haraway, Giovanni Pico Della Mandola, Julian Huxley, Aby Warburg, Mary Shelley, Monster of Frankenstein, Ray Kurweil, Ronald Bailey, Francis Fukuyama, 2015, Bronzo - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view
  • Goshka Macuga - To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2015, Fondazione Prada – Milan, Courtesy of the artist
  • Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, Configuration #, Transhumanism: Donna Haraway, Giovanni Pico Della Mandola, Julian Huxley, Aby Warburg, Mary Shelley, Monster of Frankenstein, Ray Kurweil, Ronald Bailey, Francis Fukuyama, 2015, Bronzo - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view
  • Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, Configuration #, Transhumanism: Donna Haraway, Giovanni Pico Della Mandola, Julian Huxley, Aby Warburg, Mary Shelley, Monster of Frankenstein, Ray Kurweil, Ronald Bailey, Francis Fukuyama, 2015, Bronzo - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view
  • Goshka Macuga - To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2015, Fondazione Prada – Milan, Courtesy of the artist
  • Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, Configuration #, Transhumanism: Donna Haraway, Giovanni Pico Della Mandola, Julian Huxley, Aby Warburg, Mary Shelley, Monster of Frankenstein, Ray Kurweil, Ronald Bailey, Francis Fukuyama, 2015, Bronzo - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view
  • Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, Configuration #, Transhumanism: Donna Haraway, Giovanni Pico Della Mandola, Julian Huxley, Aby Warburg, Mary Shelley, Monster of Frankenstein, Ray Kurweil, Ronald Bailey, Francis Fukuyama, 2015, Bronzo - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view
  • Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, Configuration #, Transhumanism: Donna Haraway, Giovanni Pico Della Mandola, Julian Huxley, Aby Warburg, Mary Shelley, Monster of Frankenstein, Ray Kurweil, Ronald Bailey, Francis Fukuyama, 2015, Bronzo - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view
  • Goshka Macuga, To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2016 - Androide, trench di plastica, scarpe fatte a mano - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
  • Goshka Macuga - To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2015, Fondazione Prada – Milan, Courtesy of the artist
  • Goshka Macuga in collaborazione con Patrick Tresset Before the Beginning and After the End, 2016, 5 tavoli (blu, rosso, verde, giallo, grigio) con teche, disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-n” su rotoli di carta, opere d’arte e oggetti 1 tavolo (nero), disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-A” su un rotolo di carta - In primo piano: Sherrie Levine False God, 2007 Bronzo -Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
  • Goshka Macuga in collaborazione con Patrick Tresset Before the Beginning and After the End, 2016, 5 tavoli (blu, rosso, verde, giallo, grigio) con teche, disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-n” su rotoli di carta, opere d’arte e oggetti 1 tavolo (nero), disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-A” su un rotolo di carta - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
  • Goshka Macuga - To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2015, Fondazione Prada – Milan, Courtesy of the artist
  • Goshka Macuga, To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2016 - Claudio Parmiggiani, La Salita della memoria, 1976 - Cornice in legno, tela fotografica, pane, tela bianca - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
  • Goshka Macuga - To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2015, Fondazione Prada – Milan, Courtesy of the artist
  • Goshka Macuga, ga, To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2016 - installation view - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada
  • Goshka Macuga - To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2015, Fondazione Prada – Milan, Courtesy of the artist
  • Goshka Macuga - To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2015, Fondazione Prada – Milan, Courtesy of the artist

È l’androide esposto al piano terra ad attirare l’attenzione di tutti: realizzato in Giappone da A lab, il robot è dotato di un volto il cui realismo appare sconcertante (ci vuole qualche secondo per capire che non si tratta di un umano che realizza una performance – la rigidità dei gesti tradisce la natura artificiale). Ancora più impressionante è stato incrociare durante la preview per la stampa l’uomo le cui sembianze hanno direttamente ispirato l’androide: essere umano e robot sono praticamente identici.

Ma la cosmologia creata da Goshka Macuga risiede al dì là della meraviglia dovuta all’effetto speciale: la mostra in corso alla Fondazione Prada è un’orchestrazione di elementi eterogenei – dall’androide al vaso dell’VIII sec. a.C., dalle facce di personalità significative ai disegni realizzati da automi su lunghi rotoli di carta, fino a opere di artisti, viventi e non – che nel loro intersecarsi l’uno con l’altro danno vita a un’enciclopedia visiva sulle questioni fondamentali dell’umanità, e cioè, citando dal testo che ha accompagnato l’inaugurazione della mostra: “il tempo, l’origine, la fine, il collasso e la rinascita”.

Una storia dell’arte rimescolata, riorganizzata e lanciata verso il futuro che parla inevitabilmente di fine del corpo, di morte, e così facendo interroga sulle possibilità di una nuova vita. L’androide declama un monologo composto da frammenti di discorsi di grandi pensatori formando “un archivio del pensiero umano” potenzialmente in grado di sopravvivere alla specie di cui celebra le capacità cognitive, istituendo così un legame tra l’arte retorica e la memoria artificiale, accomunate dal fine di organizzare e perpetuare la conoscenza. Ma l’operazione messa in atto da Macuga parla anche di rinascita, ossia della vittoria del pensiero sul corpo, della proprietà dell’arte di superare l’uomo ed espandersi nel tempo e nello spazio. Intorno al robot sono disseminate grandi opere che “evocano l’idea del cosmo”, tra le quali il “Cubo” di Alberto Giacometti, “Concetto spaziale” di Lucio Fontana e “The Golden Sphere” di James Lee Byars.  

Salendo al primo piano del Podium si incontrano cinque tavoli che approfondiscono le questioni introdotte al piano terra. In “Before the Beginning and After the End” Macuga e Patrick Tresset collaborano alla realizzazione di lunghi rotoli di carta sui quali i robot Paul-n di Tresset disegnano con penne birro diagrammi, disegni, testi e formule matematiche. Sui grandi tavoli sono esposte opere d’arte antica, moderna e contemporanea di autori che, oltre a partecipare con la loro presenza al già significativo gesto di Macuga (esporre all’interno della propria mostra materiale pescato liberamente nell’oceano della storia della cultura e quindi parlare di memoria, immortalità e riproducibilità dell’opera) rinforzano e approfondiscono la questione con i concetti espressi dai loro lavori: dalle scatole di Joseph Cornell, con la sua pratica di collezionista basata sulle correspondances tra oggetti cercati e trovati, al “False God” di Sherrie Levine, famosa per le sue operazioni di appropriazionismo (ad esempio la riproduzione dorata di “Fountain” di Marcel Duchamp), dalla Bibbia del ventesimo secolo (“Così parlò Zarathustra” di Nietzsche) alla migliore apologia della letteratura mai stata scritta (“Fahrenheit 451” di Ray Bradbury).  

Cresciuta nella Polonia comunista (nata a Varsavia, attualmente residente a Londra) Macuga parla spesso delle difficoltà causate da un accesso pilotato alla cultura. In un’intervista racconta di aver letto la maggior parte dei libri fondamentali per la sua formazione in forma di fotocopie perché riuscire ad averli in volume era praticamente impossibile – aneddoto che illumina il suo “feticismo” per l’opera d’arte altrui e l’interesse per il concetto di copia, originale, autore, dialogo tra culture – e sottolinea l’immensa libertà della quale oggi dispone per recuperare e appropriarsi di informazioni di tutti i tipi, una libertà molto vicina al caos, da cui difendersi organizzando, classificando, reinterpretando e quindi filtrando tutto attraverso la soggettività. Uno sguardo soggettivo, però, che abbia cura di mantenersi instabile, e quindi da ricreare di volta in volta, nel tentativo di ricalibrare i propri punti di riferimento e con l’obiettivo di favorire una metamorfosi costante del proprio centro di gravità, unico specchio nel quale sia possibile leggere la storia in divenire della propria identità specifica.  

Goshka Macuga,   International Institute of Intellectual Co-operation,   Configuration #,   Transhumanism: Donna Haraway,   Giovanni Pico Della Mandola,   Julian Huxley,   Aby Warburg,   Mary Shelley,   Monster of Frankenstein,   Ray Kurweil,   Ronald Bailey,   Francis Fukuyama,   2015,   Bronzo  - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view

Goshka Macuga, International Institute of Intellectual Co-operation, Configuration #, Transhumanism: Donna Haraway, Giovanni Pico Della Mandola, Julian Huxley, Aby Warburg, Mary Shelley, Monster of Frankenstein, Ray Kurweil, Ronald Bailey, Francis Fukuyama, 2015, Bronzo – Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada – Installation view

All’interno dei tre ambienti della cisterna si trova la declinazione poetica del discorso proposto nel Podium: un’installazione che si sviluppa in totale armonia con le peculiarità dello spazio espositivo. Si tratta di 73 teste di bronzo collegate tra loro da barre metalliche. Il testo sottolinea come l’opera ricordi una struttura molecolare ed evochi la proposta di Einstein (la cui testa fa appunto parte delle 61 figure storiche e contemporanee) di organizzare una leadership intellettuale in grado di sostituire il modello dell’autorità politica. Ma l’incontro tra pensatori di diverse epoche e provenienze raffigurato da Macuga potrebbe anche suggerire un insieme di costellazioni – una galassia di sapere – o le sale di teste di re o filosofi dei musei (ad esempio quelle dei Musei Capitolini di Roma). Le costellazioni collegano le personalità che hanno approfondito un dato argomento, rispecchiato dal titolo del rispettivo gruppo (ad esempio: “Artificial Memory: Ray Kurzweil, Ada Lovelace, Aaron Swartz, Gottfried Wilhelm Liebniz, Alan Turing”) e tutte insieme fanno parte di una  galassia denominata “International Institute of Intellectual Cooperation”.  

La parte performativa dell’opera di Macuga si presenta infine come la più oscura, ponendosi come un contraltare all’armonia estetica delle “costellazioni geniali” contenute nella cisterna (che pure, nei titoli, rivelano un percorso dal finale apocalittico: Artificial Memory, Mnemonics, Beginning, Human Destructive Spirit, Humanity’s Survival, Transhumanism, Time’s Arrow, End of History, End of Man, Last Man, End of Time). La performance occuperà gli spazi di uno studiolo presentato all’interno della mostra “An Introduction”. Il rimando allo studiolo apre molte strade: dal celebre studiolo di Federico da Montefeltro alle rappresentazioni di San Girolamo nello Studio (primo tra tutti il capolavoro di Antonello da Messina), che legano questo luogo di silenzio, solitudine e concentrazione alla relazione tra architettura e arte della memoria. Al suo interno, dal 6 febbraio e fino al 24 aprile, ogni sabato e domenica alle 17, si terranno dei readings di testi significativi in Esperanto, evocando “le intenzioni utopiche alla base dell’invenzione di una lingua artificiale” e “il fallimento dell’idea stessa di un linguaggio universale e di una cultura umana condivisa”.  In un video realizzato in occasione della sua mostra al Museum of Contemporary Art di Chicago (2012-2013) Goshka Macuga parla del suo lavoro e di come sia difficile per lei accettare definizioni categoriche che limitino il suo modus operandi a un approccio da archeologa culturale o curatrice o storica, “termini attribuiti al mio nome e alla mia pratica dai critici nel tentativo di categorizzare il modo in cui lavoro”.  

Eppure il tentativo di categorizzazione sembra una delle forze che muove l’opera della stessa Macuga, che si sviluppa intorno a complesse dinamiche d’archivio: un atteggiamento che, insieme all’attenzione per le strategie di visualizzazione e alla commistione tra la pratica artistica e quella curatoriale, la accomuna a molti artisti contemporanei. Pur riassumendo queste modalità condivise, il lavoro di Macuga si contraddistingue per una certa incoerenza estetica e si presenta, nel complesso, sempre spiazzante, fluido, eclettico, sperimentale, dinamico: composto il più delle volte dalla mescolanza di opere altrui, riesce sempre, paradossalmente, a evitare che nello sguardo dello spettatore si formi un’impressione di déjà-vu.  

“I have been quite sincere to a method, but I have not been sincere to a medium”, afferma Macuga nel video, e anche questa dichiarazione sembrerebbe scontata, se si pensa alla dimestichezza con cui un artista può permettersi, oggi, di utilizzare qualsiasi mezzo, dalla scultura alla pittura, dall’architettura alla fotografia, dal video alla performance alla scrittura alla moda alla cucina, ecc. Ma anche in questo caso si tratta in realtà di un’affermazione particolare, perché la fedeltà al metodo fa dell’insieme eterogeneo di materiali e oggetti che Macuga espone un discorso totale, coerente, omogeneo, pur nella sua varietà e capacità di rinnovarsi ed espandersi, una costellazione di elementi il cui senso d’insieme sembra risiedere nei legami invisibili tra le parti, nel coro formato dalle singole voci, nella pluralità di vettori in tensione verso un unico punto, con l’artista che più che una storica o una curatrice o un’archivista opera come un direttore d’orchestra, senza il quale i singoli musicisti non perdono certo la capacità di suonare, ma indispensabile per l’organizzazione di una sinfonia perfetta.

Goshka Macuga,   To the Son of Man Who Ate the Scroll,   2016 - Androide,   trench di plastica,   scarpe fatte a mano - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada

Goshka Macuga, To the Son of Man Who Ate the Scroll, 2016 – Androide, trench di plastica, scarpe fatte a mano – Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada

Goshka Macuga in collaborazione con Patrick Tresset Before the Beginning and After the End,   2016,   5 tavoli (blu,   rosso,   verde,   giallo,   grigio) con teche,   disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-n” su rotoli di carta,   opere d’arte e oggetti 1 tavolo (nero),   disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-A” su un rotolo di carta  - In primo piano: John De Andrea Arden Anderson and Norma Murphy,   1972 Olio su poliestere e fibra di vetro  - Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada

Goshka Macuga in collaborazione con Patrick Tresset Before the Beginning and After the End, 2016, 5 tavoli (blu, rosso, verde, giallo, grigio) con teche, disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-n” su rotoli di carta, opere d’arte e oggetti 1 tavolo (nero), disegni a biro realizzati mediante il sistema “Paul-A” su un rotolo di carta – In primo piano: John De Andrea Arden Anderson and Norma Murphy, 1972 Olio su poliestere e fibra di vetro – Foto Delfino Sisto Legnani Studio Courtesy Fondazione Prada

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