Good Luck Lara Favaretto! — MAXXI

Gli spazi espositivi del museo romano ospitano diciotto tombe/sculture in terra, legno e ottone. Accanto ad ognuna, delle misteriose scatole di metallo sigillate.
11 Giugno 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015
  • Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view - Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015

Fino al 20 settembre gli spazi della galleria 4 del MAXXI saranno occupati da diciotto sculture in terra, legno e ottone. Ognuna diversa dall’altra, le sculture sono accomunate dalla presenza, al loro interno o nelle vicinanze, di misteriose scatole di metallo sigillate. Questo è ciò che si vede vagando per le sale che ospitano Good Luck, la personale di Lara Favaretto, dopo aver attraversato la distesa di morbida terra nera che occupa l’ingresso della galleria.

Ma che cosa sono queste sculture? E cosa contengono le scatole? Per capirlo bisogna sfogliare libro d’artista che si trova all’entrata, I Momentary Monument. The Swamp (Archive Books, Berlino, 2010). Le 18 sculture sono in realtà dei cenotafi. Il cenotafio è una tomba vuota, un monumento che viene eretto per conservare la memoria di un defunto di cui non si possiedono le spoglie, perché collocate altrove o introvabili. Favaretto dedica ogni cenotafio a uno dei personaggi scomparsi di cui da diversi anni colleziona le storie. Si tratta di personaggi noti che a un certo punto della loro vita sono spariti, alcuni in senso reale, cioè perché morti o introvabili, altri in senso metaforico, in seguito alla decisione di isolarsi e far perdere le proprie notizie.

Due dei cenotafi sono assenti e si trovano in collezioni private: a Milano quello per Federico Caffè, a Miami Thomas Hadwin. L’intenzione dell’artista è infatti quella di disperdere le tombe: il loro approdo finale disegnerà così una mappatura emotiva che non avrà alcun legame con la provenienza geografica dei personaggi ma sarà determinata dai collezionisti che vorranno conservarne il ricordo. All’origine del progetto c’è l’opera The swamp, una palude artificiale creata nel giardino dell’Arsenale della Biennale di Venezia del 2009. Attraversata da una lama d’ottone (che è tutto ciò che resta dell’opera), la palude, così come le scatole di metallo, nasconde documenti e oggetti provenienti dall’archivio degli scomparsi che Favaretto ha costituito nel corso degli anni. La palude si pone come elemento metaforico e quindi come nascondiglio, terreno instabile e insondabile.

Gli scomparsi sono: Bas Jan Ader, Leslie Conway Bangs, Ambrose Gwinnett Bierce, Federico Caffè, Thomas P. Corbett, Arthur Cravan, Donald Crowhurst, Jean-Albert Dadas, Amelia Mary Earhart, Percy Fawcett, Grant Thomas Hadwin, Howard Phillips Lovecraft, Ettore Majorana, Thomas Ruggles Pynchion JR, Everett Ruess, Nikola Tesla, Jerome David Salinger, Laszlo Toth.

Osservando i cenotafi ho pensato – quasi inevitabilmente – al padiglione italiano della Biennale di quest’anno,  giudicato da molti alla stregua di un luogo cimiteriale.  In questo senso le tombe di Lara Favaretto sembrano inserirsi all’interno di un clima condiviso dall’arte contemporanea italiana.  La distanza tra la freddezza formale dei cenotafi e il calore delle storie dei personaggi a cui sono dedicati, e quindi la distanza tra immagine visibile e narrazione, mi fa poi pensare alla pratica artistica del “qualcosa che c’è ma non si vede” e cioè a lavori come il Faro d’Islanda di Claudio Parmigiani o Nei muri di questa stanza è stata nascosta una lastra d’oro larga 20 centimetri alta 20 centimetri e con uno spessore di 3 millimetri di Alberto Garutti. Opere che privilegiano il potere narrativo di un’immagine che viene soltanto suggerita: difficile recarsi in Islanda per vedere il faro, bellissimo immaginarlo ergersi in mezzo al silenzio.

Nel caso di Favaretto quel che non si vede è la corrispondenza tra la tomba e il personaggio al quale è dedicata (l’artista non aggiunge didascalie per rispettare l’anonimato degli scomparsi) e l’insieme di oggetti contenuti dalle scatole di metallo ermeticamente chiuse. Presto diventerà impossibile vedere i cenotafi stessi, essendo il loro destino quello di disperdersi, acquisiti da collezioni private. Un’altra cosa che non si vede è un esplicito coinvolgimento emotivo nei confronti dei personaggi. Penso ad esempio alla differenza con gli altari dell’artista svizzero Thomas Hirschhorn, dedicati a Gilles Deleuze, Georges Bataille, Raymond Carver e altri. “I want to fix my heroes. The altars attempt to memorialize a person who is dead and who was loved by someone else. It is important to testify to one’s love, one’s attachment.” (Hirschhorn, 2000)

Quelle degli scomparsi sono storie di cadute (come direbbe Bas Jan Ader, uno di loro, che sul tema della caduta ha fondato la sua ricerca artistica) che queste strutture lisce e pulite non riescono ad esprimere né ad evocare. O forse quello che il loro aspetto impenetrabile vuole trasmettere è proprio l’oscura tragicità di questi destini?

Mentre fisso uno dei monumenti la lastra di ottone riflette la mia immagine. Provo ad immaginare il contenuto della scatola, mi chiedo che fare di fronte a questa tomba. Ma quello che continuo a vedere è la mia immagine riflessa e vicino a lei la terra, ottusa e scura, e allora sento soltanto l’oblio e l’inevitabile sconfitta che quest’oggetto subisce, incapace di commemorare alcunché al di fuori di se stesso.

MAXXI  - Lara Favaretto,   GOOD LUCK,    Installation view - Foto Musacchio Ianniello,   courtesy Fondazione MAXXI 2015

MAXXI – Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view – Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015

MAXXI  - Lara Favaretto,   GOOD LUCK,    Installation view - Foto Musacchio Ianniello,   courtesy Fondazione MAXXI 2015

MAXXI – Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view – Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015

MAXXI  - Lara Favaretto,   GOOD LUCK,    Installation view - Foto Musacchio Ianniello,   courtesy Fondazione MAXXI 2015

MAXXI – Lara Favaretto, GOOD LUCK, Installation view – Foto Musacchio Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI 2015

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