Alberto Gianfreda. Metamorfosi della scultura

In occasione della personale dell'artista ospitata al Museo Civico “Emanuele Barba” di Gallipoli, pubblichiamo il testo del curatore Lorenzo Madaro
4 Settembre 2020
Alberto Gianfreda, Mirabilia – Museo Civico “Emanuele Barba” di Gallipoli, 2020 – Veduta della mostra

Il Museo Civico “Emanuele Barba” di Gallipoli ospita fino al 31 agosto Mirabilia, la mostra personale  dell’artista Alberto Gianfreda, curata da Lorenzo Madaro.
Segue il testo che il curatore ha scritto per l’esposizione.


La collezione nasce del bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione,
o in una serie di righe scritte, cristallizzate,
fuori dal flusso continuo dei pensieri”.
Italo Calvino

Alberto Gianfreda. Metamorfosi della scultura
di Lorenzo Madaro

Stupore, meraviglia, ma anche studiata progettualità, coesistenza – anzi, convivenza –, ricerca. Entrare nel Museo Civico “Eugenio Barba” di Gallipoli vuol dire affondare in uno straordinario spazio estremamente stratificato, che Alberto Gianfreda ha a lungo scrutato nella sua conformazione organica, eppure densa di molteplici visioni, ambivalenze, segreti, contraddizioni, collezioni. Questo luogo della visione – e delle visioni –, si presta infatti a un confronto serrato con la contemporaneità di un artista che negli ultimi anni si sta molto concentrando sulla ricomposizione di immaginari provenienti da differenti geografie, associandoli a una scultura mutante, mobile, con declinazioni sonore e spaziali.

Armi, reperti archeologici e piccoli animali, che costituiscono un fantastico zoo permanente, vivono nelle teche del museo, secondo una concezione museografica ottocentesca, intelligentemente preservata in questi ultimi decenni; numismatica, malacologia, talassologia, zoologia, mineralogia, ornitologia: sono tutti mondi che qui si uniscono e dialogano all’unisono. Il clima in cui il museo si è formato è quello del positivismo e la collezione è lo specchio di tale epoca, governata dalla ricerca della ragione attraverso gli strumenti della scienza, ma anche della pluralità degli interessi culturali, visivi e iconografici. Oggi questo museo nascosto è un luogo che va riscoperto, attraversato, indagato da chi transita da una terra di frontiera come il Salento contemporaneo. Il fine primario di Mirabilia è il confronto, il dialogo dialettico tra epoche e mondi differenti, che hanno nel display espositivo – e quindi nell’allestimento – un comune denominatore. Rispettando la natura e l’impostazione della collezione museale e quindi dell’allestimento attuale del museo attraverso l’inserimento delle sue sculture, il progetto di Alberto Gianfreda si pone proprio come attività tesa alla sua stessa valorizzazione, mediante i processi plurali della sua pratica. Alla ricerca di connessioni apparentemente impossibili, che l’incontro tra epoche, stili, prospettive riesce a suscitare. E le opere di Alberto Gianfreda riescono a interagire con il contesto, mimetizzandosi, entrando a far parte di un turbinio di forme, cromie, immagini nell’orbita della coesistenza.

Alberto Gianfreda, Mirabilia – Museo Civico “Emanuele Barba” di Gallipoli, 2020 – Veduta della mostra

In fondo anche Gianfreda, così come i collezionisti proprietari delle raccolte oggi custodite in questo museo (e la loro vastità anche in termini di cronologie e stili e scelte dipende anche dalle differenti provenienze), è un amante di oggetti speciali, con le opere del ciclo Nothing as it seems, infatti, trasforma irrimediabilmente consistenza e anima di vasi e oggetti di porcellana cinese, densi di decorazioni nell’orbita di un horror vacui che presagisce riflessioni sul multiculturalismo e la pluralità degli immaginari. Ma poi le disintegra, compie un estremo gesto, poi superato da uno step successivo. L’iper decorativismo di questi vasi di piccole e medie dimensioni viene decomposto e ripensato con un’anima costituita da catene, quasi uno scheletro che restituisce all’oggetto una nuova forma, multipla, mutante. Metamorfica, quindi. La scultura non è più un genere che vuole essere perdonato per la sua presenza voluminosa, Gianfreda ci fa comprendere che il gesto è esso stesso scultura, perciò rompere oggetti e vasi cinesi per poi rassembrarli significa ripensare il concetto stesso di materia scultorea, rielaborarla e restituirla con un’altra conformazione epidermica. La drammaticità di un gesto demolitore si tramuta immediatamente nella studiata genesi della ricostruzione, che in maniera catartica rimette ordine a un apparente caos.
Attraverso il suo impegno viene riattivata la memoria di quel luogo, così il pubblico sarà invitato ad addentrarsi, a scoprire le sue sculture nelle teche, il grande lavoro sospeso – quasi un festone, come accade, con forme diverse, nell’architettura barocca che è un tripudio di motivi floreali e non solo –, e la grande ceramica con le forme primigenie delle stelle: l’allestimento è suggerito dallo spazio e dalla fantasmagorica stratificazione di oggetti, suggestioni e sensi preesistente. A noi spetta il compito di comprendere le connessioni, anche le più segrete e imperscrutabili.  Pur nelle sue evidenti conformazioni cromatiche e formali, le sculture di Gianfreda cercano di affrancarsi dal peso stesso della materia per diventare corpi apparentemente instabili, perciò Mirabilia conferma uno dei punti cardinali del suo lavoro: l’accurata ricerca verso la metamorfosi, quella della scultura che penetra gli spazi, senza modificarli, ma rileggendoli.  
Se la forma degli oggetti collassa, al contempo si apre a nuovi spazi di lettura, che riguardano anatomie di possibili desideri, mentre le parentele suggerite dall’artista compiono relazioni apparentemente illegittime che potranno stupirci. Anzi, incantarci, anche con un percorso inverso, perché – come ha sostenuto Jole De Sanna – «La forma, confine della coscienza, parte dai sensi e coinvolge la ragione»

Alberto Gianfreda, Mirabilia – Museo Civico “Emanuele Barba” di Gallipoli, 2020 – Veduta della mostra
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