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Francesco De Grandi. BASTONE | FBI – Fondazione Benassi Iacopo, La Spezia

Ad un anno di distanza dalla mostra inaugurale di Andrea Renzini, FBI – Fondazione Benassi Iacopo allestisce un nuovo intervento, stavolta di natura pittorica, su un supporto non convenzionale. Lo spazio espositivo più angusto e dissacrante della scena artistica italiana,...

Francesco De Grandi. Bastone. FBI Fondazione Benassi Iacopo, La Spezia 2022. Photo Jacopo Benassi

Ad un anno di distanza dalla mostra inaugurale di Andrea Renzini, FBI – Fondazione Benassi Iacopo allestisce un nuovo intervento, stavolta di natura pittorica, su un supporto non convenzionale. Lo spazio espositivo più angusto e dissacrante della scena artistica italiana, diretto da Antonio Grulli e con sede nel gabinetto dello studio di La Spezia di Jacopo Benassi, ospita ora l’opera pittorica site-specific BASTONE, eseguita da Francesco De Grandi (Palermo, 1968) sulle parti mobili del wc situato all’interno della piccola stanza.

Sul lato esterno del coperchio si staglia la figura di un Re di Bastoni: un uomo nudo, dal volto scheletrico, con un cappello a cilindro (la sua corona), capelli lunghi e scarpe appuntite, nell’atto di sollevare una clava a mo’ di scettro. Lo sfondo è un paesaggio desertico sotto un cielo nuvoloso; in lontananza si intravede la sua fortezza. È indubitabilmente una presenza beffarda, che si prende gioco dell’osservatore, ma si percepisce come da essa trapeli un potere antico ed arcano. Questo dualismo, che ben si addice all’ambiguità dei tarocchi, è anche caratteristico del lavoro di Francesco de Grandi, come esplicita Antonio Grulli nel testo critico predisposto per l’intervento:

«Il bastone non è più natura, in quanto non più albero. Ma il bastone non è ancora del tutto un oggetto nato da artificio. Forse il bastone è ciò che ci permette di muoverci in continuazione tra caos e ordine. Il bastone unisce l’alto e il basso, lo spazio del sacro allo spazio del profano. Il bastone è canale di comunicazione, così come canale di comunicazione tra sacro e profano è l’arte di Francesco De Grandi. In lui non esiste possibilità di disgiunzione tra il cielo e la terra. I due elementi vanno solo e sempre assieme. È il bastone che dall’alto spinge verso il basso e permette allo spirito di trovare una carne in cui avere forma e senso. E al tempo stesso questo bastone permette alla materia di emanciparsi dal tempo e vincere la morte. Solo attraverso questa unione il bastone può germogliare, pur non avendo più radici».

Francesco De Grandi. Bastone. FBI Fondazione Benassi Iacopo, La Spezia 2022. Photo Jacopo Benassi

Questo re atipico, signore del Deserto del Coperchio, è anche una sorta di guardiano che amministra l’accesso alle terre più recondite del sanitario. Alzata la tavola, si scopre un vaso di Pandora, un putiferio infernale: la superficie interna è interamente occupata da un volto orrorifico, le cui fauci sono gremite di una moltitudine di demoni bestiali. La ciambella dichiara a caratteri cubitali un riferimento letterario ben preciso: il De Babilonia Civitate Infernali di Giacomino da Verona, poemetto didascalico della seconda metà del XIII secolo scritto in un grezzo volgare veronese, una delle fonti poi distillate da Dante nella sua Commedia. La tazza diventa una scarpata che cade a precipizio verso gli inferi. 

Duchamp aveva elevato il sanitario ad opera d’arte privandolo della sua funzione, rovesciandolo e ponendolo su un piedistallo in uno spazio espositivo; Cattelan ha riassegnato l’oggetto al suo ruolo, ma l’ha reso arte trasmutando alchemicamente la ceramica in oro. Il passaggio successivo è stato quello di reintrodurre senza remore la pittura e, di conseguenza, un concetto di artisticità fondato sulla qualità del tratto, sula figurazione, sul portato allegorico, sulla decoratività del chiaroscuro e dell’impasto materico. Il wc di Benassi è stato reso un’opera d’arte interattiva, in cui la ritualità altrimenti banale e prosaica del fruitore innesca la visualizzazione di una serie di immagini, una narrazione fantastica fondata nella letteratura. L’utilizzo prolungato nel tempo, ma soprattutto le operazioni di igienizzazione, intaccheranno inevitabilmente l’integrità della superficie pittorica, trattandosi di acrilico su plastica lucida. Tutto sta nel capire in che modo avrà luogo questa frammentazione, quali parti si cancelleranno per prime e in che modo cambierà la percezione dell’immagine. L’esito è imprevedibile: De Grandi nota ironicamente un parallelo con la testa del San Girolamo di Leonardo, che secondo la tradizione per molto tempo è stata utilizzata come sgabello da parte di un calzolaio (un impiego dopotutto non così dissimile) e che, nonostante ciò, si è conservata abbastanza bene.

Francesco De Grandi. Bastone. FBI Fondazione Benassi Iacopo, La Spezia 2022. Photo Jacopo Benassi

L’intervento è stato inaugurato lo scorso 12 giugno e per l’occasione De Grandi e Benassi hanno improvvisato insieme una performance. Il padrone di casa ha costruito un’architettura di suoni, a partire da un prologo in cui ha catturato con il microfono il suono di un compressore. Nel mentre De Grandi è entrato in scena e ha cominciato a trascrivere su un pannello uno stralcio del poemetto, tradotto preventivamente in dialetto siciliano, la sua lingua natia. Benassi è passato a delle percussioni ritmate, che si alternavano alla modulazione, mediante l’utilizzo di vibratori, del suono di due chitarre elettriche montate a croce su una struttura di legno. De Grandi ha terminato la scrittura; sopra il testo, come se fosse un sigillo, ha abbozzato un teschio. Ha compiuto queste operazioni con la mano sinistra, per più motivi: innanzitutto perché è notoriamente la mano del diavolo; in secondo luogo, per distanziare programmaticamente questo tipo di operazione performativa dal suo usuale modo di dipingere, più intimo e raccolto (è significativo che De Grandi porti avanti sulle proprie pagine social una rubrica chiamata “Dito Sinistro”, in cui pubblica disegni e pensieri di efficacia immediata, tracciati sul pad con la sua mano diabolica); infine, per ottenere, a causa della minore padronanza del mezzo, una grafia più rozza e accidentata, che ha prodotto lettere che si stagliano come un monito inciso nella pietra. Accompagnato dai suoni distorti e riecheggianti delle chitarre, ha poi recitato enfaticamente l’estratto, richiamando l’antichissima tradizione del cunto, cioè il modo di narrare dei poeti di strada siciliani. Nello stile di Benassi, tutta l’operazione performativa è stata documentata da fotografie in bianco e nero, ottenute con un flash aggressivo. Il risultato: un pandemonio infernale di suoni e immagini, con risonanze arcane che affondano nel folklore.