Conversazione tra Flavio Favelli e il curatore Antonio Grulli, in merito all’esperienza compiuta dall’artista a Cosenza. Vicissitudini, accuse, chiarimenti (e tradimenti) in merito all’opera proposta dall’artista alla cittadinanza: un murale dedicato a Luigi Marulla, il calciatore simbolo del Cosenza da poco scomparso.
Antonio Grulli: Caro Flavio, ho sentito parlare molto di te quest’estate? Cos’è successo a Cosenza?
Flavio Favelli: Sono stato invitato da Alberto Dambruoso alla residenza d’artista BO_CS a Cosenza, organizzata da Comune e Provincia, al termine della quale l’artista partecipante è invitato a lasciare un’opera per la collezione del nuovo museo d’arte contemporanea. Il mio progetto è stato quello di fare un murale in città e ho proposto una pubblicità degli anni 70 dell’Itavia Aerolinee. Appena arrivato a Cosenza, il 19 luglio, muore prematuramente Luigi Marulla, il calciatore simbolo di Cosenza. Cerco subito le sue immagini su Internet e penso ad un’opera; mi concentro su una figurina Panini di anni fa. Appena si è saputa la decisione del mio progetto, già il giorno del funerale, ho percepito molta attesa, ho incontrato qualche capo ultras e uno di loro mi ha regalato la maglia del gruppo Anni Ottanta in segno di gratitudine. La notizia ha attraversato la città. Il fatto che uno “da fuori” abbia avuto l’idea del murale sul campione, ha spiazzato il contesto, suscitando diverse reazioni: un certo atteggiamento provinciale ne è onorato, ma in fondo, appena può, non vede l’ora di accusare lo straniero. I tifosi hanno da subito proposto una statua ma nessun artista di Cosenza si è fatto avanti. All’inaugurazione, il primo agosto, le persone presenti, molti tifosi e ultras, hanno protestato contro di me e l’opera, così come in Facebook.
Mi hanno accusato di aver tradito la memoria del campione con un murale che non lo rappresentava perchè non c’era né il nome né il ritratto. Il Sindaco, cercando di mediare, mi ha chiesto di risolvere la faccenda, i tifosi volevano un cambiamento dell’opera. Ho permesso che la finissero loro, visto che per me il dipinto era concluso. Commenti sprezzanti, incoraggiamenti, scuse, “te lo dovevi aspettare”, insulti, accuse. Mi sono trovato in una situazione surreale. Giorni dopo un gruppo ha aggiunto con la vernice il nome Gigi Marulla. Ma evidentemente non bastava, dopo due settimane è stato chiamato uno street-artist (quelli che conoscono la strada) e proprio accanto alla mia opera ha realizzato un murale ortodosso e gradito alla città. Lucamaleonte ha dipinto il manifesto fatto dai tifosi il giorno dopo la scomparsa del campione. È venuta fuori così una strana sequenza di immagini messe insieme, che con i tabelloni delle reclame e il cartello SA-RC danno un non so che di pittoresco.
Antonio Grulli: Mi sembra che questa vicenda sia molto interessante. Intanto è indicativo che sia così raro che l’arte riesca a scatenare reazioni forti. Facevi notare anche tu come, parlandone con colleghi e amici, la reazione fosse di uno stupore quasi felice. “Finalmente l’arte riesce a scatenare delle reazioni”; quindi, aggiungo io, conta ancora qualcosa. Forse questa cosa ha a che fare anche col fatto che hai toccato un argomento come il calcio, materia sacra in Italia.
Flavio favelli: Sì, mi ha colpito il pensiero di molte persone a riguardo. Quasi tutti soddisfatti della partecipazione anche se, diciamolo pure, molto robusta e prevaricante. Un ultras mi ha messo la mano sul petto, tanto era grave il mio affronto perchè non ho saputo tradurre i loro desideri, le loro immagini, e non ho avuto uno stile mediterraneo. Qui la scultura per antonomasia sono i Bronzi di Riace e l’artista contemporaneo di riferimento è Mimmo Paladino. Probabilmente siamo così abituati al fatto che l’arte sia esclusiva e per pochi, che quando un’opera scatena un qualsiasi interesse o una discussione non ci pare vero. Quello che è successo è sicuramente interessante, ma dal punto di vista antropologico, quello che è accaduto ha delle tinte esotiche. A me piace questo lato del Sud d’Italia, anzi credo di essere interessato solo a questo, non ho problemi a dirlo. Amo la magnificenza dell’abisso che solo il Meridione può dare; lo dico in modo molto serio. Il mio ruolo è quello di occuparmi di immagini e qui è pieno di immagini intense. Sì, certo, il calcio è forse la religione in Italia. Ho avuto i soliti rimproveri del tipo: “Ma non li conosci gli ultras?”. Come se uno fosse entrato nella gabbia dei leoni, come se un’opera dovesse sempre prendere in considerazione il contesto del soggetto.
Non sono uno studioso, l’arte non è un’indagine (anche se molti artisti oggi fanno gli studiosi e fanno indagini). Ma perchè il calcio lo possono maneggiare solo i tifosi? E la pittura su muro la possono fare solo quelli dei graffiti? Un’immagine sul calcio e sul muro è sottoposta a delle leggi speciali che devono essere rispettate? Il problema è che i credenti vogliono avere l’esclusività del simbolo. Quando si tocca Cristo, Maometto, Totti si parla di fede e con la fede è difficile ragionare. Conoscevo come calciatore Marulla, mi sono sempre piaciute queste storie di un calcio minore, di provincia: Novantesimo Minuto faceva vedere quei campi con poca erba, le tribune a volte vuote di cemento armato e gli striscioni con nomi lontani. Quando ero bambino seguivo il calcio, gli stemmi, le figurine, mi faceva sentire meno solo. Squadra grande, squadra mia, la domenica mi tieni compagnia… Però Antonio, per me quegli anni sono stati cruciali, mi viene ancora da piangere e tento di sapere e ricostruire il perchè; alla fine il calcio, Novantesimo Minuto, Cosenza e Marulla sono tutte delle scuse.
Antonio Grulli: Quello che è accaduto solleva altre due questioni: i rapporti tra arte e pubblico, e tra arte e potere politico. Chi ha voce in capitolo sulla materia dell’arte? Non è nemmeno un problema nato con la modernità. A Michelangelo hanno messo i mutandoni e immagino che fino a qualche decennio fa molti saranno stati contenti di sapere che non c’erano cazzi volteggianti sopra la testa dei cardinali mentre nominavano un Papa. O come ricorda un tuo murales, realizzato quest’estate in Sardegna, a Palmira altre persone stanno facendo tabula rasa del sito archeologico perché visto come blasfemo e poco rispettoso di quello che amano. Il modo in cui è stata gestita la cosa dalla politica fa capire molto: chi lo ha detto che il tuo lavoro non fosse apprezzato dalla maggior parte della città di Cosenza? Hanno fatto un referendum? Con chi hanno interagito? O forse hanno solo dato ragione a chi (magari una minoranza) era maggiormente violento?
Flavio Favelli: Mi hanno detto che dopo il murale di Lucamaleonte, sul sito Facebook non c’è stato un simile movimento forse a dire che nel tifo – e non solo là – l’affronto, la polemica, la contestazione è molto più interessante e importante dell’ossequio. Ma a cosa serve la residenza d’artista se non a far incontrare la città con dei diversi punti di vista? Ma qui la differenza non la si ignora nemmeno, è talmente intollerabile che va corretta. Mi hanno detto: sai che dovevi fare? Dovevi fare una fotografia gigante della figurina e attaccarla al muro. Come il poster in camera di quando eravamo ragazzi.
Antonio Grulli: Mi sembra che ultimamente cerchi sempre più spesso il contatto con un grande pubblico fatto di non addetti ai lavori. I tuoi murales in spazi pubblici sono sempre più frequenti, hai realizzato di recente un’opera sui militari che hanno perso la vita nelle ultime guerre intraprese dall’Italia, ecc. Ma la cosa più interessante è che non cerchi di essere accomodante con questo pubblico, e talvolta questo tuo essere concentrato sul lavoro e non su chi lo vedrà può essere confuso con il voler essere provocatorio. Quello che ha fatto Lucamaleonte nei giorni dopo l’inaugurazione è indicativo. Da una parte c’è un artista che porta un qualcosa di fastidioso e per questo cambia anche i termini del discorso, mentre dall’altra c’è un artigiano che attacca l’asino dove vuole il padrone e per questo non sarà mai in grado di produrre del pensiero che non sia già un luogo comune nella testa della gente.
Flavio Favelli: Più che altro mi piace il muro, mi piace la pratica del lavoro in strada, mi piace la città. Non cerco di essere popolare, sia perchè non lo sono, sia perchè, veramente, non m’interessa. Diciamo che in Italia, la gente (il popolo?) non è messa granché bene, basta vedere come si veste, solo da noi ci si mette certe cose; il figlio di Totò Riina è uscito dal carcere con un Moncler bianco. Mi piace vedere in grande le scritte e le immagini pensate per la mia città personale ed esclusiva. Come se fosse una città vuota, è uno spazio dell’intelletto, solo che la città non può essere personale ed esclusiva e quindi poi mi devo relazionare con chi ci abita o banalmente con chi passa per la strada. Con Palmira a Iglesias è andata bene, con Marulla a Cosenza meno. Ho fatto il murale Palmira perchè sono un esperto di scatole di tonno e ho studiato archeologia. Andai a Palmira nel 1989, quando qui la conosceva solo Sabatino Moscati, il resto viene dopo. Veramente, non cerco il contatto col pubblico, credo sia proprio tutto nella mia testa. All’inaugurazione a Cosenza mi hanno detto: non è Marulla, è un omaggio alla Panini! Oppure: potrebbero essere tutti i calciatori del Cosenza! E in effetti quella figurina un po’ vuota potrebbe essere anche un ricordo di Donato Bergamini, il calciatore del Cosenza che “hanno suicidato sotto un camion” nel 1989, perchè c’era di mezzo la droga e la malavita. Dell’incontro col pubblico poi ne abbiamo già abbastanza con la grande piazza di Internet, tutti intervengono con commenti, tutti vogliono partecipare per la polemica e per affermarsi, come dice L’Oreal: perchè tu vali! Citi il progetto sui militari caduti: all’epoca il militare era obbligatorio e scelsi l’obiezione, mi mandarono per un anno vicino a Reggio Emilia tutto il giorno al lavoro in biblioteca e ad accompagnare i bambini dell’asilo sul pulmino. Non volevo fare il militare, non ho avuto mai ben chiaro chi fosse l’aggressore, non ho amor di Patria, né sono tanto orgoglioso di appartenere ad una nazione, non riesco a cantare nessun inno e poi non amo le armi, ma ho solo un conto aperto con certe immagini militari. Mi trovo a disagio fra i militari come fra i pacifisti. A breve Gli Angeli degli Eroi sarà esposta per volere del Ministro della Difesa e del Presidente della Repubblica al Vittoriano, il 4 novembre. Ma non l’ho fatta per loro, l’ho fatta per colmare le mie immagini, per incontrare certe ombre che mi seducono e allo stesso tempo mi infastidiscono. Non lavoro né per né contro l’Esercito Italiano, né per né contro gli ultras del Cosenza, il vero fuoco è un altro. Sono loro che sentono di avere l’esclusività del marchio, ma il militare e Luigi Marulla, come la guerra e il calcio non appartengono a nessuno e semmai sono di tutti. È stato il pubblico di Cosenza che mi ha dato un’autorità, fin da subito, che non ho chiesto né cercato. Prima sei l’eroe, dopo sei il nemico, non c’è una mezza via, ma questo è il Sud. Una volta durante una lezione, credo al Politecnico di Torino, uno studente mi fece un’interessante domanda: come mai nelle immagini di opere che si relazionano col pubblico questo non c’è mai? È vero, mentre nei rendering degli architetti bisogna fare le persone insieme alle prospettive, nei miei progetti pubblici non metto mai le persone perchè non le penso né le vedo. Come ho detto prima, è una scusa, è un pretesto. È giusto una presenza assente. Per dirla meglio, è come quando mia madre era in casa, ma non nella stanza dove stavo. L’arte sfiora solo la realtà e gioca con lei una partita fra immaginazione e intelletto. A proposito di intelletto, al funerale di Marulla, in piazza coi fumogeni, gli striscioni, la bara addobbata di sciarpe, si è levato un coro gentile, con parole dolci:
Son contento solo se
vedo segnare Marulla
e Marulla segna e vola
e la curva s’innamora.