Fatma Bucak a Torino | Intervista con Lisa Parola

"Fatma Bucak pone lo spettatore di fronte a situazioni specifiche dalle quali emergono eventi rimossi, luoghi liminali, confini disabitati".
25 Ottobre 2017
Scouring the press (Still images), 2016 HD video, color, sound, 9 min. 20 sec.

Scouring the press (Still images), 2016. HD video, color, sound, 9 min. 20 sec.

Dal 31 ottobre al 10 novembre 2017, nelle sale della Biblioteca Graf della Facoltà di Lettere e Filosofia di Torino, nel Palazzo del Rettorato in via Po 17, verrà allestita la mostra Remains of what has not been said dell’artista nata in Turchia Fatma Bucak (Iskenderun, 1984).
Il suo lavoro si muove tra performance, fotografia, sound e video, prendendo in considerazione il tema politico della sua nazione, con un certo interesse al tema della censura e della verità mediatiche di certe notizie e di certi messaggi che vengono trasmessi da televisione, radio e internet.
L’installazione che verrà presentata è composta da una serie di fotografia ottenute secondo un processo temporale che ha previsto la raccolta e la catalogazione quotidiana dei principali giornali turchi, in 84 giorni a partire dal 7 febbraio 2016: giorno delle uccisioni di Cizre nel sud-est della Turchia. Assieme a questa, anche il video Scouring the press, in cui l’artise ed altre donne nude lavano come panni dei quotidiani raccolti fino a renderne opache le pagine, e prive di contenuti.
Dunque, in un ambiente in cui a dominare è la storia libraria materializzata nei libri italiani di Otto e Novecento qui conservati, Fatma Bucak porta avanti un discorso volto al coinvolgimento dello spettatore nello sviluppo di una visione critica delle tematiche contemporanee.

Il vernissage è previsto per martedì 31 ottobre, mentre alle 16.30 dello stesso giorni ci sarà una lectio dell’artista.
Il progetto è promosso da Fondazione Sardi per l’Arte.

ATPdiary ha posto alcune domande alla curatrice Lisa Parola.

ATP: Partiamo dalla location: la Biblioteca Graf della Facoltà di Lettere e Filosofia nel Palazzo del Rettorato in via Po 17. Come mai questa scelta?

Lisa Parola: Già lo scorso anno, entrambi i lavori di Fatma Bucak erano stati esposti in un contesto universitario: negli spazi espositivi della Brown University a Providence Rhode Island negli Stati Uniti. A Torino, con un progetto promosso dalla Fondazione Sardi per l’Arte, l’installazione fotografica e il video sono allestiti in una delle sale della Biblioteca Arturo Graf della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università. Negli spazi riprogettati negli Anni Ottanta, la serie fotografica (Remains of What Has Not Been Said, 2016) e il video (Scouring the Press, 2016) aprono un ipotetico dialogo tra storia, scienze umane e arte visiva. Le due opere sono infatti, circondate da importanti fondi librari di Otto e Novecento: dall’arte alla letteratura alla linguistica oltre al giornalismo e a importanti documenti di editoria europea.

ATP: Per quanto riguarda il titolo – Remains of What Has Not Been Said – che significato ha in relazione alla mostra?

LP: Il titolo nasce dalla serie fotografica che documenta la raccolta e la lavorazione compiuta da Fatma Bucak utilizzando quotidiani turchi per 84 giorni a partire dal 7 febbraio 2016, conosciuto come il “massacro delle cantine” a Cizre, una città nella Turchia sudorientale, vicino al confine con la Siria. Un momento di terrore e censura che rappresenta uno stato di ambiguità ancora presente in Turchia e in Europa. Il titolo invita a concentrarsi su quel che ‘rimane’ in contrapposizione a quel ciò che ‘non è stato detto’: due asserzioni con le quali l’artista intende sottolineare la censura che i media ufficiali stanno utilizzando in questi anni per trattare fatti e vicende che attraversano i paesi della fascia mediterranea.

ATP: Il progetto consiste in un’installazione composta da una serie di 84 fotografie ottenuta tramite un processo temporale che ha previsto la raccolta e la catalogazione quotidiana dei principali giornali turchi a partire dal 7 febbraio 2016, data delle uccisioni di Cizre nel sud-est della Turchia. Ci parleresti di questo lavoro?

LP: Le mani dell’artista porgono al visitatore un vaso con dell’acqua sporca e ogni contenitore riporta una data. 84 scatti che paiono quasi prove di un processo. Tralasciando la retorica e i luoghi comuni che spesso accompagnano le riflessioni sulla cultura e sull’arte, specialmente quando trattano territori al margine, Fatma Bucak pone lo spettatore di fronte a situazioni specifiche dalle quali emergono eventi rimossi, luoghi liminali, confini disabitati. Immersi in questo panorama offuscato dalla repressione, i suoi lavori non mostrano al pubblico una semplice rappresentazione degli avvenimenti contemporanei, ma danno forma anche a ciò che non viene detto, conflitti taciuti che aprono a nuove interpretazioni e all’opportunità di riesaminare la storia, il presente e il nostro ruolo rispetto a questo contesto.

ATP: Ci sarà anche il video Scouring the press. Di cosa si tratta?

LP: I giornali sono anche utilizzati nel video. Immerse in un paesaggio anonimo e deserto, due donne e l’artista lavano i giornali raccolti, una pagina dopo l’altra. Sulle loro mani e nei catini rimane solo il grigio dell’acqua sporca. Come in Remains of What Has Not Been Said anche in queste immagini l’artista non denuncia solo la rimozione di fatti ed eventi ma sottolinea anche uno stato di censura imperniato sulla mancanza di antagonismi o dissensi.

ATP: Fatma Bucak riflette molto sulla relazione tra arte e politica, sulla censura e sull’ambiguità con cui i media occidentali trattano i fatti contemporanei turchi e su quanto le notizie date da TV e quotidiani possano influenzare la percezione stessa del fatto reale. Ci parleresti in modo più approfondito del suo lavoro?

LP: Come già accennato, la ricerca di Fatma Bucak che comprende performance, fotografia, sound, video, dopo aver lavorato in molti e differenti contesti geografici, dall’Egitto al Messico, caratterizzati da stati di tensione con evidenti limitazioni dei diritti, recentemente si è anche concentrata sulla complessa dimensione politica della Turchia con una particolare attenzione alla censura e all’ambiguità che i media ufficiali stanno utilizzando in questi anni nel riportare fatti e vicende. In questo procedere per immagini e azioni, il lavoro dell’artista ci ricorda soprattutto che l’arte e la cultura sono concetti trasversali che si riferiscono alla memoria, all’identità, alle testimonianze e all’esperienza collettiva. Se comprendiamo l’arte come spazio di discussione politica e strumento di ri-significazione, nessuna immagine prima d’ora ha mai avuto tanto potenziale concettuale in grado di rispondere alla crisi culturale e al fallimento dei paradigmi della modernità.

ATP: Il progetto di Fatma Bucak prevede anche una fase preliminare di formazione in collaborazione con l’Università di Torino. In cosa consiste?

LP: Pensando l’arte come fondamentale strumento di formazione, il progetto di Fatma Bucak è stato uno dei temi di riflessione e confronto di un workshop in collaborazione con l’Università di Torino, rivolto a studenti dei Dipartimenti di Culture, Politica e Società e Giurisprudenza. Tre giorni d’incontri e lezioni tenuti da docenti, curatori e artisti dedicati alla ricerca artistica che affronta fatti e tematiche della storia contemporanea.

Remains of what has not been said, 2016 23x28,5 cm Eighty-four digital archival pigment prints.

Remains of what has not been said, 2016 23×28,5 cm Eighty-four digital archival pigment prints.

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