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Intervista con Tiziano Martini | A+B Contemporary Art, Brescia

[nemus_slider id=”65830″] — Inaugura oggi, sabato 6 maggio – alla galleria A+B Contemporary Art di  Brescia (fino al 7 giugno) – Firnt, seconda personale di Tiziano Matini. Per questa mostra l’artista ha realizzato un ciclo di lavori di medie e grandi dimensioni,...

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Inaugura oggi, sabato 6 maggio – alla galleria A+B Contemporary Art di  Brescia (fino al 7 giugno) – Firnt, seconda personale di Tiziano Matini. Per questa mostra l’artista ha realizzato un ciclo di lavori di medie e grandi dimensioni, prevalentemente a fondo bianco. L’artista espone un nuovo ciclo di opere eseguite con una tecnica “a contatto”, che in seguito sono state chiamate monotipi. Dal questo processo, generato con una forte pressione sulle tele, sono risultati dei lavori estremamente materici collocabili tra un’operazione pittorica e scultorea.
Nell’intervista che segue l’artista ci racconta il significato nel titolo Firnt, ci racconta il “modo” in cui nascono i monotipi, e ci spiega da cosa deriva la scelta della gamma cromatica della sua ultima produzione.
CS – Firnt – Tiziano Martini

Intervista con Tiziano Martini —

ATP: Penso che partire dal titolo della tua mostra sia il primo passo per addentrarci nella ricerca pittorica che stai portando avanti da alcuni anni. Mi spieghi cosa significa Firnt? Perché lo hai scelto?

Tiziano Martini: Ho scelto questo titolo perchè rappresenta , in questa fase, l’umore e lo stato d’animo dei miei lavori. Nonchè in un certo senso l’estensione della mia pratica di studio fuori da esso e viceversa. Grammaticalmente Firnt è il verbo coniugato al presente della parola Firn che, a sua volta, deriva da un termine più antico: Firni. È una parola della lingua  tedesca che viene però utilizzata  in tutto il mondo per descrivere un tipo specifico di cristallo di neve, relativo all’anno precedente.
I cristalli di neve subiscono una trasformazione durante i mesi,  arrotondandosi e compattandosi, per effetto del clima, dell’erosione del sole e della pressione degli strati di neve soprastanti. In ambito sciistico la parola Firnt si utilizzata per descrivere una qualità del manto nevoso, che si può trovare in tale stadio (dipendentemente dalle condizioni) prevalentemente in primavera inoltrata.  Sulle mie montagne, in Dolomiti, questo accade a maggio, in anni normali.
Firn descrive si un oggetto, ma determina uno spazio temporale preciso, a mio avviso molto romantico, questo è ciò che mi interessa maggiormente.  Determina quel tipo di neve in quel preciso istante,  il momento perfetto per la discesa. Io lo vedo un po’ come il momento più alto in studio, o il picco di forma per l’atleta.
La neve trasformata primaverile è un po’ la regina delle nevi,  regala le curve più commoventi. Se è perfetta rappresenta un mix di poesia ed euforia molto  sfuggevole.  È un momento breve, difficile da descrivere, che va cercato  e azzeccato con fatica. È molto transitorio ed aleatorio.   Mi intriga il fatto che oggi passi con gli sci ai piedi e domani è troppo tardi.  In fin dei conti è maggio…sui versanti a sud e est può durare minuti, poi la neve diventa subito polenta…
In studio avviene la stessa cosa: prima ci si riscalda, si aumenta il ritmo, poi ci sono dei massimali in cui prendono forma i lavori migliori.

ATP: Questa mostra è la tua seconda personale alla galleria A+B. Nel 2015, nella mostra “Monsieur Fanta!”. avevi presentato le opere eseguite con una tecnica “a contatto”. Mi racconti come hai continuato, o trasformato, questa tecnica negli ultimi due anni? Mi spieghi in cosa consiste?

TM: In Monsieur Fanta! Ho approfondito due tipi di interventi sulla tela. Uno dava dei risultati monocromi mentre l’altro dava frutto a lavori simili a quelli che faccio tutt’ora, anche se ad uno stadio più embrionale. I lavori dello stesso formato li disposi poi in sequenza, occupando solo due lati della galleria. Più che una tecnica, si tratta di un modo. In realtà questi lavori hanno radici più lontane, credo di aver dipinto su del pvc nel 2010. Conservo un piccolo lavoro dove il supporto era una plastica trasparente, la fissai sul telaio al contrario diciamo. L’immagine che appariva raccontava se stessa attraverso il modo esecutivo (quello che fanno i lavori anche ora). E nient’altro. Le pennellate sottostanti agli strati più recenti apparivano per prime.  Sempre nello stesso anno realizzai delle sculture in gesso, pigmenti, sporcizie di studio e detriti di operazioni pittoriche, colato all’interno di grandi tubi da scarico. La parte superficiale del gesso a contatto con il tubo ricorda i miei lavori di adesso. Dalle sculture realizzai poi delle tavolette in gesso, che imitavano l’atteggiamento delle sculture.
Quello che faccio ora non è molto diverso, è solamente più consapevole e  a  fuoco, nel senso che ora i lavori sono meno oggetti ma più specificatamente dipinti su tela in senso stretto. In virtù di questo sono cambiati anche i materiali e i supporti; semplicemente perchè la situazione richiedeva quel tipo di adattamento. Ad esempio la trama del cotone, e di conseguenza l’imprimitura, hanno un grado di traspirabilità tale da permettere l’essiccamento della resina acrilica posteriormente in modo abbastanza rapido lasciando integre le caratteristiche di brillantezza e plasticità. La massa acrilica stessa che uso da legante è molto più densa rispetto ai primi lavori, e mantiene, anche da asciutta, il suo volume. I telai sono indeformabili, per supportare questo tipo di lavoro, e non condizionano più l’essiccatura in quanto non più lignei. Tutte queste decisioni le detta il lavoro stesso non io. Credo che ognuno maturi un approccio alla pittura e  degli atteggiamenti in studio (non dei tic), e proprio questi vanno semmai ad influenzare la produttività e a condizionare l’esito finale dei lavori. Non si tratta di decisioni o volontà precise, ma di reazioni conseguenti ai vari casi.   Personalmente queste attitudini sono libere da  pretesti.  Sono semplicemente delle esigenze legate al fare, alla manualità, al lavoro anche fisico, alla materia.  Ecco perchè mi sono sempre visto più strumento o  ape operaia piuttosto che pittore.
L’immagine che appare in superficie all’osservatore è evidentemente astratta e non racconta assolutamente nulla. Non contiene forme di narrazioni che mi coinvolgono, se non come strumento. Sono il prodotto più esplicito e radicalmente onesto che io possa realizzare. I dipinti sono tanto arbitrari e improbabili quanto ultra precisi e dettagliati. Per certi versi ricordano delle  stampe a getto d’inchiostro. Dietro l’apparenza poi non sono completamente informali ma sono il ritratto di un processo che, se nelle tele del 2015 si manifestava come un volto macchiaiolo ottocentesco, nelle recenti è un volto fiammingo pieno di dettagli impossibili da dipingere. È difficile da dire. Se non utilizzassi questi modi indiretti di dipingere non otterrei mai dei risultanti così implausibili. Quindi la tecnica come la definisci tu per me diventa una sorta di strumento per formalizzare un’attitudine nei confronti  dell’apparato pittorico.

Tiziano Martini exhibition view at A+B gallery - Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò
Tiziano Martini exhibition view at A+B gallery – Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò

ATP: Hai sempre rivelato la tua passione per la montagna (sei un bravo sciatore, se non ricordo male!). Come questa attrazione diventa manifesta nella tua pittura?

TM: Mi capita di condividere sui social momenti in montagna è vero.  Andare in montagna “incarna” una specie di stile di vita in cui mi sento molto a mio agio. Da piccolo ai tempi delle gare in pista ero tutt’altro che bravo e a mio agio.  Ecco che passai allo scialpinismo che è il modo più esplorativo, purista e libero di interpretare la montagna d’inverno. Qui emersero anche le mie qualità di sciatore e alpinista. Un po’ come quando passai da architettura  all’accademia. Mi accorsi che l’esposizione e la fortissima pendenza non mi creavano problemi se avevo sci e lamine ai piedi, anzi. Iniziai cosi involontariamente e per piacere, a “costruire” una sorta di curriculum alpinistico, parallelamente a quello lavorativo.
Non credo che l’attività si riversi però direttamente nella pittura. Se non nell’aspetto esplorativo e autoriflessivo. Spesso le salite/discese che faccio si svolgono in ambienti talmente, ostili  e isolati, che non sempre riesco a percepirne il fascino e il piacere subito. Arrivano successivamente, quando le tensioni si sciolgono.  Questi momenti a contatto con situazioni estreme e intime mi servono per raccogliere concentrazione. È come deframmentare il disco fisso del pc. Mi interessa poi anche la sciata nella sua estetica, infatti è un po’ come una grafia, ognuno ha intrinsecamente il proprio segno, le proprie posizioni e movimenti (anche in studio), che emergono nei momenti chiave. Forse Firnt rappresenta il momento in cui le mie due ossessioni sono più tangenti l’una all’altra, di sempre.  Non tanto per i contenuti, ma perchè l’una è il prolungamento naturale dell’altra. Da ottobre a giugno, fondamentalmente, salgo e scendo le montagne con gli sci e lavoro in studio. Non faccio altro. Qui dove vivo e lavoro non ci sono distrazioni, non succede nulla.  Ci sono le montagne più belle, e i servizi. Il resto lo costruisci tu. Io faccio un po’ leva su questi vuoti. Puoi fare quello che vuoi e come vuoi, e logisticamente non perdi tempo: l’artigiano è dietro l’angolo, come il falegname. I corrieri mi conoscono, sanno i miei orari.  Gli aeroporti sono a un’ora di strada, per cui tutto è funzionale e complementare al lavoro, anche la montagna.

ATP: Hai trascorso un anno di residenza alla Lepsien Art Foundation di Duesseldorf. Hai compiuto delle ricerche o hai fatto delle esperienze significative per la tua ricerca pittorica?

TM: Si tratta di un progetto di studio che implica un trasferimento tutt’altro che temporaneo e semplice. Essendo io madrelingua tedesca, ho deciso di vivere un anno ininterrottamente a Duesseldorf.
Oltre alla consueta pratica di studio, gli artisti possono  applicarsi ai processi serigrafici e attraverso un maestro stampatore, realizzare un massimo di due edizioni in tiratura da 50 esemplari. Le edizioni vengono in parte consegnate all’artista, in parte esposte e in parte utilizzate per finanziare le attività della fondazione stessa. A fine anno i 5 artisti selezionati, presentano i loro lavori e il catalogo che realizza la fondazione. Non sono previsti incontri con esterni, galleristi o curatori, ma la struttura fa il possibile perchè queste cose possano avvenire nel miglior contesto. Per l’anno l’artista deve essere economicamente autonomo, in quanto i costi sono a carico proprio, e la fondazione potrebbe acquisire eventualmente dei lavori, ma non mette a disposizione alloggio o spese per la produzione ecc.
Fortunatamente ho avuto la possibilità di conoscere e frequentare bravissimi artisti e di ricevere numerosi e importanti studio visit, sin da subito. È stato un anno molto intenso, pieno di motivazioni, in cui il lavoro ha subito delle forti scosse e fatto dei cambiamenti importanti a mio avviso. La parte calcografica è stata, oltre che interessante e bella di per sé,  fondamentale  per la formalizzazione degli attuali lavori pittorici.  La stampa raccoglie in un unico momento, spaziale e temporale, i risultati di un numero variabile di matrici. È un condensatore di livelli. Una stampa serigrafica è come unire i livelli su photoshop, è molto vicina ai miei lavori attuali. Inoltre gli strumenti che uso per inscenare le tecniche pittoriche tradizionali quali sfregazzi, velature, passaggi tonali, sfumature o dripping, sono fortemente ispirati alle spatole delle macchine serigrafiche.

ATP: In merito alla scelte cromatiche espresse nella tua ultima produzione, si evince una gamma di colori che si ripete nelle varie tele. Colori molto accesi e vivaci. C’è un motivo particolare dietro a questa scelta?

TM: In effetti gli ultimi lavori sono incredibilmente confusi e colorati, a volte quasi fastidiosi. Sono come il titolo Firnt, che è ostico da pronunciare.  La ripetitività cromatica che leggi tu, deriva in parte dalla ciclicità dell’esecuzione. Nel senso che, per preparare Firnt ho raccolto un gruppo di lavori recenti si, ma realizzati appositamente per l’evento. Io mi rifornisco sempre di cromie standard in grandissime quantità, e utilizzo tutto. Ho solo un’affinità con certi accostamenti. Ecco che i risultati sono anche il frutto di quello che in quel momento c’era in studio a portata di mano. Nel 2014 le mie tele sembravano delle pareti muffose, dei pavimenti quasi monocromi, come se ne vedono moltissimi. In “Fanta!”, ad esempio, i lavori erano prevalentemente in tonalità  blu e bianca. Un po’ impauriti.  A Brescia ci saranno lavori molto eterogenei, troppo grandi per la galleria e molto aggressivi.  Non è che ci sono dei colori sbagliati. Ultimamente sono suggestionato da colorazioni molto sature, talvolta fluo. Forse ricavate inconsciamente da certi documentari culto anni 90 che sto guardando. Nella pittura tradizionale ognuno sviluppa un proprio senso al colore, nei miei lavori non voglio che ci sia un criterio decisionale personale; non voglio essere io a condizionare il lavoro. Io mi limito ad innescare dei processi, anche cromatici. Le cornici, ad esempio ora, sono più sobrie e molto pulite. 3 mesi fa sarebbero state verde fluo e montate in modo approssimativo. Per la personale  in Germania da Achenbach/Hagemeier in ottobre, ad esempio, vorrei approfondire maggiormente le qualità intrinseche di trasparenza di alcune cromie.  I lavori potranno essere per lo più orizzontali e senza cornice,  o forse ci saranno delle sculture. Attualmente sto facendo degli sfregazzi di giallo primario.

ATP: Nel tuo modo di dipingere, il fattore tempo è deciso: intervalli, riprese, pause. Mi racconti come suddivisi le varie azioni pittoriche nei quadri che dipingi?

Mi piace  questa lettura.  Ricorda l’allenamento di uno sportivo, fatto di riscaldamento, lavori veloci o intervallati, pause, recupero ecc. Nella mia pratica attuale la fase acuta dell’atto “pittorico” si risolve in pochi attimi. È molto esplosiva, e faticosa. Se le tele sono grandi come in mostra, anche molto complessa. Nei due anni precedenti a questa mostra ho allenato, per cosi dire,  anche il gesto. Mentre le matrici contengono passaggi molto subordinati l’uno all’altro e frutto di tempi anche molto lontani, le tele vengono impresse in un unica ripresa, che non concede altre riprese o successive correzioni. I lavori poi essicano lentamente e posteriormente e diventano la cristalizzazione di questo momento performativo. È un po’ come sviluppare un vecchio rullino analogico. Piano piano appare l’immagine che fino a quel momento non era visibile. È molto affascinante. Personalmente mi piace lavorare su più lavori possibili contemporaneamente, in modo da ridurre momenti improduttivi e mantenere quel momento di tensione e concentrazione di cui parlavo sopra. Le tele poi subiscono una lieve pulizia, per eliminare sbavature, e, proprio come si fa con uno stampo, vengono tolte le imprecisioni. Spesso mi piace terminare il lavoro con una cornice. Dal punto di vista compositivo diventa una sorta di  chiusura visiva, da quello  concettuale invece determina un punto di arresto.

Firnt, Tiziano Martini exhibition view at A+B gallery - Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò
Firnt, Tiziano Martini exhibition view at A+B gallery – Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò
Tiziano Martini, Firni, 2017, monotipia e sedimenti acrilici impressi su acrilico bianco, cornice artista, 202x162cm - Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò
Tiziano Martini, Firni, 2017, monotipia e sedimenti acrilici impressi su acrilico bianco, cornice artista, 202x162cm – Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò
Firnt, Tiziano Martini detail, monotipia e sedimenti acrilici impressi su acrilico bianco - Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò
Firnt, Tiziano Martini detail, monotipia e sedimenti acrilici impressi su acrilico bianco – Courtesy A+B gallery e artista, foto Alberto Petrò