Vi riproponiamo l’intervista che abbiamo fatto lo scorso novembre ai tre curatore della mostra Shit and Die: Maurizio Cattelan, Myriam Ben Salah e Marta Papini. Questi sono gli ultimi giorni (chiusura effettiva domenica 11 gennaio 2015), per visitare il progetto espositivo che ha animato – in modo imprevedibile e dissacrante – le giornate di Artissima. All’oggi hanno varcato la soglia di Palazzo Cavour, sontuosa sede della mostra, ben 28.000 visitatori.
Seguono le risposte di Marta, Maurizio e Myrian. MMM
ATP: Per la mostra ‘Shit and Die’ avete compiuto un lavoro di ‘speleologia’ nella città di Torino. In merito a questo ‘scavo’ nella misteriosa città piemontese, quali sono alcune tra le più importanti scoperte che avete fatto?
MMM: Erano tutto già in piena vista, i posti più interessanti ci aspettavano sotto un sottile strato di polvere torinese: il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” e il Museo Casa Mollino sono per esempio due realtà consolidate della città con cui abbiamo deciso di lavorare – non le abbiamo “scoperte”, ma ci hanno accolto a braccia aperte. Tuttavia, vedere per la prima volta la forca di Torino allestita come era originariamente è stata davvero una grande sorpresa, sia per noi che per lo staff del Museo, come una grande sorpresa è stata l’Unità Residenziale Ovest della Olivetti e le storie che conteneva.
ATP: ‘Caga e muori’, è un invito, una provocazione o un ‘brutale’ inno al flusso incessante della vita? Perché avete scelto questo titolo tratto dall’opera di Bruce Nauman?
MMM: La risposta sta nella domanda: era un titolo in grado di riassumere in modo tragico e ironico al tempo stesso la completezza della vita umana. Altri titoli che abbiamo scartato, come Nasty Buffet e From dust to dust avrebbero rischiato di limitarsi ad una sola dimensione. Oltre a questo, ovviamente ci piaceva l’idea di omaggiare il padrone di casa, Camillo Benso di Cavour, che si dice avesse una certa perversione per la coprofagia…
ATP: Nelle vostre ricerche vi siete imbattuti nel ‘triangolo mondiale della magia bianca’, formato da Torino, Praga e Lione? Emerge dunque una Torino ‘magica’ nella mostra che avete curato? In breve, Gustavo Adolfo Rol vi ha bisbigliato all’orecchio qualche suggerimento?
MMM: Curiosamente, nelle nostre ricerche su Torino abbiamo scoperto che non c’è una fonte sulla storia dei due triangoli magici che preceda il 1980. Tuttavia, il palpabile lato esoterico della città ha interessato diversi elementi del percorso espositivo, tra cui il più evidente è di sicuro il murale di Stelios Faitakis – ma anche la seduta spiritica di Yuri Ancarani, Fulvio Ferrari e Albania con Carlo Mollino. Omaggiare Gustavo Adolfo Rol ci sembrava infine d’obbligo, perché è come se ci avesse seguiti lungo tutta la nostra avventura in città.
ATP: La mostra che avete pensato per Palazzo Cavour unisce opere d’arte con oggetti, strumenti, manufatti che sconfinano in altre discipline: antropologia, occulto, scienza, medicina, topografia, fino ad arrivare alla società tutta, inglobando Alba Parietti, Rita Pavone ecc. Che percorsi ‘ad ostacoli’ avete pensato per la fruizione della mostra? Ci sono delle aree tematiche?
MMM: La mostra può essere suddivisa in sette aree tematiche distinte, che tuttavia si richiamano a vicenda costantemente nel corso del percorso espositivo: The Assembly Line of Dreams, Aldologica, Double Trouble, In Event of Moon Disaster, Fetish, Dead Man Working. La scelta di inserire manufatti ed elementi rubati ai musei della città dentro a Palazzo Cavour è stata piuttosto naturale rispetto all’esigenza di raccontare una storia piuttosto che redigere un’enciclopedia: se un personaggio poteva funzionare veniva inserito nella narrazione.
ATP: Perché far ruotare l’intera mostra attorno ad un ‘nodo scorsoio’ (come spiega Maurizio Cattelan in un recente articolo), simbolo ed effettivo strumento per un potenziale suicida?
MMM: In verità il suicidio non ci interessava affatto, il nodo scorsoio attorno a cui gira la mostra è quello di una sentenza capitale, come quella della Jena di San Giorgio (il cui ritratto del 1835 è esposto in mostra), famoso macellaio del paese che soleva confezionare salami di carne umana, e che venne condannato a morte su quella stessa forca. Sempre di sentenza capitale parlano le bandiere affisse fuori da Palazzo Cavour: “A man was behaded yesterday / Ieri un uomo è stato decapitato”. Sia in un caso che nell’altro, la morte è una scelta di potere e di controllo.
ATP: Tra gli artisti selezionati, ce ne sono alcuni molto conosciuti accanto ad altri giovanissimi. Con quale criterio li avete scelti?
MMM: Abbiamo deciso di partire dalle opere, e non dagli artisti, perciò l’età e la celebrità di quest’ultimi sono state delle variabili a cui ci siamo candidamente disinteressati. Abbiamo lavorato sul percorso come se dovessimo scrivere un racconto per immagini, aggiustando il tiro man mano che la mostra che andava costruendosi. Il procedimento di selezione è stato molto spontaneo, è scaturito dal costante dialogo tra di noi e dalle diverse esperienze che abbiamo messo sul tavolo. Ognuno aveva le sue preferenze, ma solo alcuni lavori acquisivano potenza e davano altrettanta energia e nuovi livelli di lettura alla storia.
ATP: Un ‘artista in pensione’ (cit.) e due giovani curatrici. Come avete vissuto questa collaborazione curatoriale? Tutto liscio o molti contrasti?
MMM: Tutto liscio. E molti contrasti, ovviamente! Alla fine siamo riusciti a realizzare tutto come lo volevamo, trovando il giusto equilibrio tra i nostri diversi punti di vista. È stato come accordare diversi strumenti per un unico concerto…speriamo solo che non ci siano troppe stecche!