Luigi Presicce e il disturbo della consapevolezza

30 Novembre 2011

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Alcune riflessioni sulla mostra appena conclusa di Luigi Presicce ‘In forma di autoscopia’ nello spazio Marèlleria (Milano).

Come giustamente scriveva Giacinto Di Pietrantonio in un lungo articolo pubblicato su Flash Art, la vita di Luigi Presicce è intensa, così come “è intensa l’arte della sua vita”. Allarghiamoci anche un pò: quale vita, nella sua complessità o semplicità non è intensa? 
Restiamo alla vita circoscritta di Presicce. Nato a Porto Cesareo (LE), passato attraverso la pittura, la performance, il disegno, moltissime amicizie, uno spazio no-profit; vivere a Milano, fondare la rivista brownmagazine, frequentare galleristi, artisti giovani e meno giovani – penso tra i tanti a Emilio Fantin, Giancarlo Norese e Cesare Pietroiusti con i quali oltre ad aver già lavorato al progetto ‘Festa dei vivi’ (Novembre 2010)  parteciperanno a dOCUMENTA13 (Kassel) con il progetto Lu Cafausu – nessuno metterebbe in dubbio che la sua vita non solo è intensa, ma anche interessante. 
Detto questo, mi chiedo: perchè scomodare i ‘santi’? 
Probabilmente Luigi ‘scomoda i santi’ perchè affetto dal disturbo della consapevolezza della propria unità o autoscopia (questa è la ‘conclusione’ a cui giungo dopo aver visto la mostra e aver letto il CS). Perso il senso di famigliarità con se stesso, l’artista cerca nella ‘complessità’ e ‘densità’ del sapere uno specchio con cui tracciare la propria forma.
O più semplicemente, attratto dalle ‘belle immagini’ e dal fascino attraente di temi come l’esoterismo, l’agiografia, le pratiche massoniche, la stregoneria, i riti magici o religiosi, la politica (in un’opera in mostra cita il Duce d’Italia e George Ivanovich Gurdjieff*) ecc. Presicce mischia in un affascinante e paradossale calderone tanti segni/disegni/simboli/personaggi/miti/riti. Le performance per due sole persone, come Il Grande Architetto, è un esempio di come l’artista porti alle estreme conseguenze corpo, mente, spettatori, pavoni, abiti, trucco e parucco. Sempre serissimo, quasi sempre silenzioso, Luigi amalgama pubblico e privato, amicizia, ignoranza, letture, generosità, folklore, storia dell’arte per raccontarci quanto lui/noi siamo persi in un mare magnum di segni dove – nè capo nè coda – ci rendono grazia o giustizia.
Quasi apocalittico, quasi blasfemo e per nulla interessato a rivelarci se, in fondo in fondo, c’è un pò di ‘luce’, di Luigi mi piace pensare che possegga, magari nei suoi più reconditi ragionamenti, un minimo di chiaroveggenza.. chissà…  
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