I paesaggi inabissati di Diego Perrone |MDC, Milano

Il destino di ogni scultura è alla mercé del caso. Minerali e ossidi colorati, controllati e scelti dall’artista, sono posti in certe aree, ma l’esito finale è assolutamente indomabile...
7 Febbraio 2017

Frutto della ricerca che l’artista segue da qualche anno, “Herbivorous Carnivorous” – alla galleria Massimo De Carlo (in via Ventura) fino all’11 marzo – è l’ultimo progetto espositivo presentato da Diego Perrone. L’artista astigiano aveva già dato un’ottima prova della sua ricerca, allora solo alla stadio iniziale, nel 2013 al Museion, con la mostra “Il Servo Astuto”. Nel museo di Bolzano l’artista aveva compiuto un’approfondita ricerca sul territorio altoatesino, nello specifico nei laboratori di Vetroresina Glass & Modern.

Questa mostra milanese – come quella speculare a New York, alla Casey Kaplan Gallery – porta a compimento le possibilità espressive del materiale vetroso. Perrone stesso rivela che la tecnica utilizzata è fortemente sperimentale, tanto che dichiara di aver trovato nuove potenzialità per il vetro. Avvicinandosi a questi grandi blocchi di vetro è inevitabile immergersi in un mondo acquatico, gelatinoso, dove scenari dal sapore arcaico sembrano congelati nella materia trasparente. L’artista sembra tornare ai temi a lui cari, alla vita rurale caratterizzata da lavori umili, da usanze paesane, da un’iconografia tipica delle zone di campagne (es. i trattori e le anfore che compaiono in un paio di sculture).
Una delle variabili che rendono queste sculture attraenti è l’altissimo grado di imprevedibilità data dalla lavorazione tecnica: una grande quantità di vetro fuso viene colato in un calco di gesso che, in un secondo momento, viene posto in forni ad alta temperatura nei quali il vetro subisce un processo di alterazione che può durare molte settimane. Il destino di ogni scultura, dunque, è alla mercé del caso. Minerali e ossidi colorati, controllati e scelti dall’artista, sono posti in certe aree, ma l’esito finale è assolutamente indomabile; le fusioni e le mescolanze, le cromie e le sfumature si rivelano, all’artista stesso, dopo un lungo periodo di gestazione, di stasi.

Diego Perrone, Herbivorous Carnivorous, Installation views Massimo De Carlo, Milan-Ventura - Photo by Roberto Marossi - Courtesy Massimo De Carlo, Milan:London:Hong Kong

Diego Perrone, Herbivorous Carnivorous, Installation views Massimo De Carlo, Milan-Ventura – Photo by Roberto Marossi – Courtesy Massimo De Carlo, Milano/Londra/Hong Kong

Lavorando con uno dei materiali più anti-scultorei per eccellenza, Perrone dà prova, con queste due mostre, di magistrale bravura: dalla tecnica, alla scelta del (rischioso) materiale, dai temi trattati alla capacità, tutta singolare, di lasciare a chi guarda la capacità di leggere tra le righe. Di quest’ultimo aspetto mi interessa la sua abilità di affabulare non solo attraverso dei motivi figurativi, ma anche astratti. Parlo di forme, colori, imperfezioni che diventano pure configurazioni espressive. Questa serie di sculture, infatti, è leggibile su molteplici livelli: nel profilo delle masse materiche, che alludono a delle teste, ad uno stiletto (palese il richiamo al noto capolavoro del geniale Alexander McQueen, gli Armadillo boots), a degli organi, a delle meduse ecc. Dove emerge il mondo acquatico, compaino (o scompaiono) tra la densità durissima del vetro, dei grossi pesci che volteggiano tra una massa cranica in cui affiora un orecchio, un naso, la silhouette dell’arcata sopraccigliare. Le sembianze dell’artista sembrano manifestarsi come presenze spettrali; si vedono, confondono, svaniscono… Aiutano, in questo gioco di illusioni, i colori trasparenti, i verdi, gli ocra, i rossi, gialli… ma anche tante trasparenze incolori. È qui che si mostra la freddezza del vetro e l’abilità dell’artista che, lavorando ‘di fino’ gli stampi in gesso, è riuscito a rendere vibrante la materia, tributarla di capacità cangiante, illusoria: appunto rendere il vetro acqua, la pesantezza leggera. Aiuta la luce – meglio se naturale – a rendere questi autoritratti favolistici mutevoli a seconda del nostro punto di vista.

Oltre alle sculture, una serie di disegni sono esposti in una stanza ‘animata’ da un intonaco rosa che, stanco di starsene al suo posto, scivola giù, verso il pavimento. Anziché cogliere la possibilità di far dialogare – e spezzare il ritmo forse un po’ monotono dell’intera esposizione – sculture e disegni, l’artista preferisce isolare questi ultimi in una sala.
Nella serie esposta ci sono tutte le caratteristiche che, da sempre, connotano i disegni di Perrone: sfondo bianco in cui l’artista traccia una sottile e rapida trama di segni a biro rossa che, come stesse ritraendo una sua scultura, creano un densa superficie mossa e irrequieta. I soggetti riprendono le sculture: dei grossi pesci che turbinano in un cranio informe, fatto per lo più da folte masse di capelli, ma potrebbero anche essere delle onde, della crema o, semplicemente, acqua.
Se un appunto si volesse muovere a questa mostra che raccoglie forse l’apice della produzione degli ultimi dieci anni dell’artista, è il ritmo invariato dell’allestimento, forse un po’ troppo lineare e senza rischi, interruzioni.

Diego Perrone Senza Titolo, 2016 Vetro / Glass 62 × 80 × 30 cm Photo by Roberto Marossi Courtesy Massimo De Carlo, Milan/London/Hong Kong

Diego Perrone Senza Titolo, 2016 Vetro / Glass 62 × 80 × 30 cm Photo by Roberto Marossi Courtesy Massimo De Carlo, Milan/London/Hong Kong

Diego Perrone, Senza Titolo, 2016 Biro su carta : Ballpoint pen on paper 101.2 × 141.2 cm Photo by Roberto Marossi Courtesy Massimo De Carlo, Milan:London:Hong Kong

Diego Perrone, Senza Titolo, 2016 Biro su carta : Ballpoint pen on paper 101.2 × 141.2 cm Photo by Roberto Marossi – Courtesy Massimo De Carlo, Milano/Londra/Hong Kong

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