La migliore opera è quella che non c’è. Cattelan al Pirelli HangarBicocca

L’alterità sta proprio nell’averci lasciati desolatamente soli nello spazio vuoto, a transitare nel buio, osservati e spiati. Ritorna dunque, in questa dimensione, la vera essenza di questa mostra: il trovarci isolati con noi stessi...
7 Ottobre 2021
Maurizio Cattelan Blind, 2021 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021 Resina, legno, acciaio, alluminio, polistirene, pittura 1695 x 1300 x 1195 cm Prodotta da Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio

Nella fermata metropolitana di Sant’Ambrogio ho notato un grande manifesto che mostra l’immagine di Blind, la grande installazione di Maurizio Cattelan attualmente esposta al Pirelli HangarBicocca nella mostra Breath Ghosts Blind (a cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolì). Questa opera ci ricorda l’attentato dell’11 settembre 2001 al World Trade Center di New York, di cui quest’anno ne cade il triste anniversario.
Resta indimenticabile il fotogramma del tragico evento, indelebile e quasi inverosimile, che ci ha introdotti al nuovo millennio. Maurizio Cattelan ci ripropone, a vent’anni di distanza la stessa dinamica, con un’opera che si vuole “un memoriale dell’iconografia destabilizzante.”
Mi sono chiesta se quest’opera mi destabilizza, se, vedendola mentre prendo la metropolitana mi scuote o mi suscita una riflessione.
In una recente intervista lo stesso artista ribadisce: “I temi nell’arte non sono veramente importanti. Conta la capacità di colpire l’immaginario degli altri, perché ognuno possa trovare il proprio significato nell’arte che ha davanti. Dove uno vedrà la morte, l’altro vedrà la vita, per il semplice fatto che ogni persona ha un bagaglio di esperienze diverse con cui legge la realtà. Il bello dell’arte è proprio questo: non conta quello su cui ho riflettuto per arrivare a una forma finale, conta solo se quella forma è così indipendente dal pensiero che l’ha creata da essere piena di significati per gli altri.”

Questo ragionamento non fa una piega, certo, è un lascia passare per un’apertura interpretativa tra le più generose, non fosse che l’immagine – sarebbe più consono indicare ‘opera’, ma con Cattelan è sempre preferibile parlare di immagini, più che di opere – che ci sta proponendo non è affatto indipendente dal pensiero che l’ha generata. In altre parole che spazio ci lascia Blind? Che margine di movimento ci concede? Poco, pochissimo.

Ovviamente quest’immagine parla di morte e dolore. Per dimensioni e austerità è senza dubbio un monumento che suggestiona, ammutolisce.. ma a farlo non è Cattelan è la gravità del dramma che lui ‘indica’. L’artista compie da sempre quello che gli viene più facile: indicare eventi o personaggi che di per sé scuotano. Penso agli impiccati di Piazza XIV Maggio a Milano, La Nona Ora (il Papa colpito da un meteorite), HIM (la scultura efebica di Hitler in ginocchio), L.O.V.E (il ditone davanti alla Borsa di Milano), America (il water realizzato con 103 Kg d’oro 18 carati): tutte opere che ci hanno colpito, scandalizzato, provocato sdegno o ammirazione. Ironia, sarcasmo, beffa: c’era in queste opere la volontà di colpirci in modo facile e irriverente. Per molti versi, dietro a queste opere c’era, sempre, il ghigno di Cattelan, la sua furbizia e ilarità.

In Blind questa dimensione ha lasciato il posto a una serietà che faccio un po’ fatica ad attribuirgli. Anche se penso ai lavori citati nella presentazione della mostra, perché più affini come ‘intenzione’ a Blind – Untitled (1994), riferita al rapimento e all’esecuzione di Aldo Moro e Now (2004), connessa all’assassinio di John F. Kennedy a Dallas – sembra che i conti non tornino. In queste opere c’era sempre una scelta volta a ridimensionare o collocare l’evento in un’atmosfera surreale, a spostare la tragicità in una dimensione destabilizzante, che ci sollecitava a vedere lo stesso evento in modo diverso, opposto, quasi a volergli cambiare di segno. In Blind questa aritmetica viene meno, i conti non tornano.

Maurizio Cattelan Veduta della mostra, “Breath Ghosts Blind”, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio
Maurizio Cattelan Veduta della mostra, “Breath Ghosts Blind”, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio

Laddove l’artista ci aveva abituati a non far tornare i conti, a sconvolgere la natura delle cose, a vedere la tragicità ma anche l’infanzia, la vecchiaia, il successo, la religione, la vita… “alla Cattelan”, Blind sbaglia il tiro. Al tema corrisponde la forma e, alla fine, anche la reazione che inevitabilmente suscita.

Ma veniamo alle altre opere in mostra.
Ad accoglierci nel buio e nella grandiosità oscura dell’Hangar c’è Breath, una scultura in marmo bianco di Carrara che rappresenta un uomo (molto somigliante allo stesso artista) rannicchiato a terra accanto ad un cane, anch’esso sdraiato sul pavimento. E’ inevitabile confrontare questa intima immagine di fragilità alla vastità dello spazio che la avvolge: monumento alla fragilità esistenziale dell’uomo contemporaneo, quest’opera ricorda la statuaria antica, per materiale e soggetto. Ma qui l’imponenza che da sempre ha caratterizzato le sculture antiche sembra perdere vigore. Come dire: l’uomo contemporaneo non incarna ideali, ideologie, pensieri elevati, sacrosanti, dogmatici. E’ piccolo, fragile, caduto e rannicchiato. Questa, a mio avviso, è l’opera più centrata e riuscita.

La terza opera in mostra è Ghosts, qui nella nuova versione di un intervento presentato in occasione della 47° e 54° Biennale di Venezia, rispettivamente con il titolo Tourists (1997) e Others (2011). Potremmo pensarla dunque come il terzo capitolo di una trasformazione che vede protagonisti i piccioni in tassidermia, prima come turisti, poi come ‘gli altri’, ora come spettri, spiriti.
Sicuramente impressionante – parliamo di migliaia di piccioni installati dovunque nelle Navate dell’Hangar – gli animali sembrano guardarci o, peggio, spiarci. Intimoriscono perché non ci danno scampo, sono ovunque, tra travi, anfratti, nicchie e transenne.
La soluzione di quest’opera è stata trovata dall’artista proprio grazie allo sconcertante numero di piccioni, eccessivamente esagerato dunque estremo, da qui la riuscita dell’opera che risulta forte e incisiva.

Uno dei primi pensieri che faccio, quando mi presto a vedere una nuova mostra all’Hangar è: la cosa più intelligente che può fare un artista nel difficile spazio dell’Hangar è quello di lasciarlo vuoto e nero. Un pensiero banale e istintivo, mi dico, ma forse il più azzeccato.
Cattelan sembra aver fatto proprio questo: ha lasciato lo spazio vuoto. Forse è stata questa la sua più lodevole grandezza: ha lasciato lo spazio desolatamente vuoto e freddo – aiuta la sapienza tecnica dell’illuminazione del light designer e direttore della fotografia Pasquale Mari – che parla proprio dei temi cardini della mostra: la vita, la morte, il dolore e l’amore.

L’alterità sta dunque proprio nell’averci lasciati desolatamente soli nello spazio vuoto, a transitare nel buio, osservati e spiati. Ritorna dunque, in questa dimensione, la vera essenza di questa mostra: il trovarci isolati con noi stessi, a fare i conti con – per chi le percepisce – le problematiche della nostra esistenza. Ovvio, per chi le percepisce. 

Maurizio Cattelan Ghosts, 2021 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021 Piccioni in tassidermia Dimensioni ambientali Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio
Maurizio Cattelan Ghosts, 2021 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021 Piccioni in tassidermia Dimensioni ambientali Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio
Maurizio Cattelan Veduta della mostra, “Breath Ghosts Blind”, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio
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