Forse, però, la cosa più ‘fantastica’ era quello che, ancora, non c’era.
Per tutta la durata della mostra si avvicenderanno dei workshop in cui, guidati da veri falegnami e docenti di un istituto professionale (Azienda Bergamasca Formazione C.F.P), chiunque potrà fare una vera esperienza di ‘fai da te’, dentro al museo. A tappe, si andrà a costruire, in scala 1:1, una parte dello scafo del Bounty. Nello spazio, c’erano disegni progettuali e un modello ridotto e scomposto di questa mitica nave.
Matteo ha già iniziato, in precedenti mostre, questo surreale progetto (‘La festa dei pirati’, Fondazione Pomodoro e CNAC Le Magasin di Grenoble), con l’intento di rendere partecipi le persone nella comune costruzione della mitica fregata mercantile britannico. Giocoso e generoso, Matteo riesce finalmente ad attuare un tipo di arte (veramente) relazionale, in cui i presupposti non restano solo sulla carta, ma diventano reali, concreti. Obbiettivo non raggiunto, a parere mio, nel lavoro presentato al Premio Furla, che si presentava troppo macchinoso e, purtroppo, non risolto nelle intenzioni. Qui, invece, la condivisione come pratica estetica, è sicuramente raggiunta o soddisfatta. Le persone condivideranno fatica, sbagli, tempo e soddisfazioni, per realizzare un enorme oggetto immaginifico. Quando sarà ultimato, sarà sicuramente stupefacente vedere l’enorme scafo dentro alla sala. Scombussolando e fondendo – non senza un buona dose di indisciplinata immaginazione – il dentro e il fuori, il lontanissimo spazio profondo e le strade di Bergamo, intrecciando le vite di artigiani, falegnami, insegnanti, studenti, artisti e curatori, Matteo realizza quella cosa molto rara nell’arte: la partecipazione, l’originalità e l’altruismo. Non ultima, la realizzazione di una grande opera che, semplicemente, definirei bella!