La Biennale di fotografia dedicata al CIBO | Bologna

Bologna ospita, fino al 28 novembre 2021, la quinta edizione della Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro con 10 esposizioni nel centro storico e una al MAST.
30 Ottobre 2021
HENK WILDSCHUT WAKKER DIER, AMSTERDAM, MARCH 2012 © Henk Wildschut
HENK WILDSCHUT SWINE INNOVATION CENTRE (VIC), STERKSEL, AUGUST 2012 © Henk Wildschut

È un viaggio lungo un secolo attraverso la storia della fotografia e quella dell’industria alimentare la quinta edizione di Foto/Industria, la Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro organizzata dal MAST di Bologna. Undici mostre diffuse in dieci luoghi della città per indagare attraverso lo sguardo di fotografi internazionali il tema del cibo. Cura da Francesco Zanot, FOOD non è un’edizione della Biennale dedicata alla food photography, ma un’indagine storica e geografica della complessità culturale e sociale del cibo. Perché il cibo è biologia, politica, economia, geografia e tradizione. Connessioni alle quali è dedicato anche il volume edito in collaborazione con Self Publish Be Happy che accompagna questa edizione e che costituisce, nella sua forma metà libro di fotografia metà ricettario, uno strumento di innesco di ulteriori riflessioni. Il risultato – nella sua totalità – è un progetto che racconta i cambiamenti dell’industria alimentare dagli anni Venti ad oggi, e che esplora un secolo di rappresentazione e quindi di storia della fotografia.

Partendo dall’inizio di questo viaggio nel tempo, il racconto non può che partire da Hans Finsler, fotografo svizzero tra i maggiori protagonisti della fotografia oggettiva. È dedicata interamente alla serie realizzata nel 1928 su commissione della fabbrica dolciaria tedesca Most, Schokoladenfabrik allestita all’interno della biblioteca di San Giorgio in Poggiale. Spazi nei quali i prodotti dell’azienda fotografati con minuzia da Finsler convivono con le grandi installazioni di Parmiggiani, parte della collezione della biblioteca. Le miniature di cioccolato e marzapane sono fotografate in bianco e nero come oggetti degni di tutte le attenzioni. Allestite su una struttura semicircolare in parte simile ad un bancone del controllo qualità e in parte vetrina espositiva museale, le fotografie catturano le statuette di cibo come sospese su piani d’appoggio invisibili. Le ombre sono schiacciate da una luce artificiale proveniente sempre dalla stessa direzione e gli oggetti sono osservati da un punto di vista leggermente rialzato. Non ci sono filtri né effetti speciali: la fotografia viene utilizzata qui nel pieno rispetto della sua natura tecnico-meccanica, di documentazione appunto oggettiva. Ne risulta una serie di scatti a cavallo tra comunicazione pubblicitaria e riconoscimento di autentici valori scultorei degli oggetti considerati secondari. Un approccio vicino alle sperimentazioni delle avanguardie di inizio Novecento, ma anche alla Bauhaus. 

Dona nuova autonomia e importanza a quegli elementi considerati secondari o meno importanti, anche Ando Gilardi con Fototeca, una raccolta di immagini di altre immagini con la quale dal 1959 il fotografo italiano ha “raccolto” 500 mila oggetti tra figurine, incarti degli agrumi, pubblicità, erbari, santi e album di famiglia. Un archivio che costituisce una gigantesca macchina per lo studio dell’iconografia, ma anche della storia della pubblicità e un’opera concettuale totale nella quale è solo la riproduzione dell’immagine che riattiva l’oggetto. La storia dell’uomo si interseca a quella del cibo anche nella seconda serie di lavori, quella delle fotoinchieste, presenti in mostra negli spazi del MAST accanto alle immagini dell’archivio. Qui al centro dell’interesse c’è l’uomo. Il confronto con il tema dell’alimentazione diventa pretesto per documentare la fatica nei campi delle mondine, delle raccoglitrici, dei venditori ambulanti, delle cuoche nelle mense. Gli scatti di Gilardi sono prove, contenitori di informazioni storiche, politiche e sociali, sono un viaggio nella storia del lavoro in Italia. 

ANDO GILARDI FOTOTECA – Fondazione MAST, Bologna
JAN GROOVER LABORATORY OF FORMS – Istituzione Bologna Musei | MAMbo, Bologna
HERBERT LIST Si taglia la grande testa del tonno, Favignana, Italia / The big head of the tuna is being cut off, Favignana, Italy 1951 Collezione MAST. Courtesy of The Herbert List Estate / Magnum Photos

Gli oggetti tornano negli still life della seconda produzione fotografica di Jan Goover, quelli della sua vita newyorkese: inizialmente immagini strettissime in bianco e nero, zoom quasi soffocanti sugli oggetti quotidiani della tavola (forchette, bicchieri, fruste, coltelli), poi a colori in scatti più ampi in scenografie teatrali dalle ombre diffuse e profonde in un’estetica anni Ottanta, e infine di nuovo in bianco e nero negli scatti dall’alto in cui gli oggetti sono distanziati (inevitabile qui pensare a quelli di Morandi). Fotografie dalle composizioni geometriche, calcolatissime, proprio come la produzione precedente dove il soggetto erano la città e l’artificio umano, dagli edifici alle macchine. Nulla è lasciato al caso, al momento o all’emozione. Tutto è calcolato, posizionato meticolosamente in una dimensione tra il reale e il surreale. Il lavoro della Groover è contemporaneamente investigazione di un genere artistico e della forma delle cose, delle loro qualità visive e delle loro infinite possibilità di posizione nello spazio.

È un viaggio fisico, documentato dalla fotografia, quello di Bernard Plossu. Francese, nato in Vietnam cresciuto per lungo tempo negli Stati Uniti, Plossu ha iniziato a guardare il mondo attraverso l’obbiettivo nel 1958, a tredici anni durante un viaggio con il padre attraverso il deserto del Sahara e da allora non ha mai smesso di documentare i suoi viaggi. Factory of Original Desires nelle sale di Palazzo Fava è la ricostruzione geografica dei suoi spostamenti attraverso alcuni dei suoi scatti. Le fotografie di dinner, bar, tavole calde, ma anche campi, cartelloni pubblicitari e mezzi di trasporto, sono allestite in gruppi di immagini per raccordi visivi. Sono immagini che appartengo a tempi e luoghi diversi che appaiono sulle pareti dello storico palazzo bolognese come paesaggi da un finestrino. È in questo contesto che le fotografie isolate – un uccellino sulla carta abbandonata di un pasticcino, un coltello appoggiato su un salame, una coppa di gelato ricoperta di panna – possono essere viste come fermate, punti di sospensione nel tempo e nello spazio. A fare da collegamento in questa selezione è il tema del cibo, elemento che nella fotografia di Plossu è narrazione del quotidiano, filo conduttore dei comportamenti e dei bisogni umani in ogni angolo del mondo e in ogni epoca. Insieme a lui nelle sale di Palazzo Fava la fotografia metafisica di Herber List con il suo racconto della tonnara di Favignana: 41 scatti che sono allo stesso tempo prezioso documento della storia locale e raccolta di immagini evocative. Frutto di un’urgenza descrittiva per la quale List documenta tutte le fasi del lavoro, dal posizionamento delle reti ai festeggiamenti in piazza, Favignana unisce violenza e sacralità come nelle antiche rappresentazioni della tauromachia. Gli scatti più numerosi sono infatti dedicati alla mattanza, cuore pulsante della serie, nella quale gli uomini disposti attorno alla cosiddetta “camera della morte” – la cui forma è tra l’altro ripresa nella struttura dell’allestimento – appaiono come soldati schierati con le armi in pugno. Sotto di loro, al centro della vasca gli enormi tonni appaiono come creature maestose e il loro sangue negli scatti in bianco e nero è catrame, materia densa e appiccicosa che sporca ogni superficie. Un rituale ormai in disuso che per lungo tempo ha costituito per Favignana, tra le più grandi tonnare dell’intero bacino del Mediterraneo, la maggiore risorsa economica.

Al cibo come elemento di storia e di cultura è dedicato il progetto di Vivien Sansour, artista e ambientalista palestinese, che alla fotografia unisce video, performance e pratiche inclusive e partecipative. Progettata come un vero e proprio ambiente nella sala di Palazzo Boncompagni Palestine Heirloom Seed Library è un viaggio multisensoriale attraverso una mappa, un libro e un video, alla scoperta di antiche varietà di semi che per Sansour assumono significati culturali, storici e politici. Il progetto, un vero e proprio atto di resistenza, inizia nel 2014 quando l’artista comincia a raccogliere e catalogare i semi di antiche varietà di verdure e alberi da frutto della Palestina. Insieme a questi Sansour raccoglie le storie associati ad essi, attraverso interviste e immagini, per salvaguardare il patrimonio di tradizioni e la biodiversità, ma anche per mettere in luce come la perdita delle coltivazioni tradizioni sia dovuta alla modernizzazione dell’agricoltura e l’esproprio dei terreni situati sui territori palestinesi da parte dei coloni israeliani. Il cibo diventa così da una parte strumento di radicamento territoriale e culturale con il passato e dall’altra rilancio per il futuro. 

LORENZO VITTURI 16th Floor Aerial View #2 2017 © Lorenzo Vitturi. Courtesy of the artist
LORENZO VITTURI MONEY MUST BE MADE – Palazzo Pepoli Campogrande – Pinacoteca Nazionale di Bologna

È da sempre interessato all’aspetto culturale del cibo e del suo mondo anche Lorenzo Vitturi che porta all’ombra del grande affresco dell’Apoteosi di Ercole di Palazzo Pepoli Campogrande Balogun, uno dei più grandi mercati di strada al mondo. Allestite in una struttura a più livelli, le fotografie mostrano sovrapposizioni e stratificazioni di cromie, materiali, corpi e culture. Vitturi racconta il mercato di Lagos e i suoi elementi in una narrazione a tre livelli realizzando tre serie fotografiche. Una dedicata agli oggetti: da una parte quelli per lo più di deriva tecnologica dell’ormai abbandonata torre della finanzia che negli scatti appaiono come reperti archeologici, ricoperti da uno spesso strato di polvere, e dall’altra quelli venduti quotidianamente. Oggetti dai colori vivaci e dalle forme dinamiche ricomposti nel suo studio in nuovi oggetti, macchine celibi, sculture surreali, composizioni di Arcimboldo. La seconda è quella dedicata alle persone, ritratte sempre di schiena e accompagnate, per lo più sotto forma di indumenti, da altri oggetti. E infine la piazza del mercato.  Fotografata dall’alto della Financial Trust House – simbolo in abbandono di una gentrificazione al contrario – nella sua costante espansione orizzontale in due ampie fotografie che sembrano sovrastare tutta la struttura dell’allestimento, e raccontata attraverso le conversazioni. Qui la fotografia lascia spazio alla calligrafia e al tessuto: Vitturi ha chiesto ad un calligrafo locale di riportare su alcuni rettangoli di tessuto tradizionale estratti di conversazioni con i venditori. 

Il materiale prodotto da altri è il punto di partenza per la sperimentazione fotografica di Mishka Henner che porta a Palazzo Zambeccari due progetti nei quali nulla è prodotto dai suoi scatti. Da una parte due serie costruite sul principio di accumulazione utilizzando per Feedlots immagini raccolte da Google Earth e per Scope video tratti da YouTube, dall’altra The Fertile Image letteralmente creata da una Rete Generativa Avversaria che produce sfruttando le oltre 14 milioni di immagini presenti su ImageNet. Il risultato è un viaggio che esplora il mondo animale, e il suo coinvolgimento nell’industria alimentare, visto dall’alto con le immagini dei campi di allevamento intensivi di Feedlots, immagini aeree dalle geometrie e dai colori innimaginabili, e letteralmente dall’interno con il montaggio di interventi endoscopici e video camere mangiate dagli animali per sbaglio di Scope. Tra organico e inorganico, il principio di tutto è un sistema circolare nel quale l’uomo è causa di vita o di morte, proprio come nella serie finale The Fertile Image nella quale la RGA genera una possibile prole a partire da due individui genitori creati a partire dalla volontà e selezione dell’artista. 

Agli allevamenti intensivi è dedicato anche il progetto Food di Henk Wildschut, un viaggio nel dietro le quinte dell’industria che ogni giorno porta cibo sulle nostre tavole. Il lavoro è frutto di un incarico affidato al fotografo dal Rijkmuseums di Amsterdam lungo due anni – dal 2011 al 2013 – dal quale emergono le conseguenze (contraddittorie) delle sempre più avanzate tecnologie del settore alimentare. In mostra non solo le immagini di pollai sovraffollati e gabbie stracolme di pulcini, ma anche sperimentazioni batteriche e la quotidianità dei lavoratori. Ed ecco allora che accanto alle immagini di documentazione di un controllo di qualità e di una pulizia al limite dell’ossessivo Wildschut pone la fotografia di un addetto intento a lavarsi in una delle docce dello stabilimento, e ancora un gruppo di dipendenti chiusi all’interno di una piccola stanza trasparente – quasi un contenitore – è affiancato da uno scatto che documenta la “sala di attesa” dove casse piene di pulcini attendono il loro turno per la lavorazione. Una forma di controllo nella quale umani e animali sembrano trovarsi nella stessa posizione. In un mondo di innovazione tecnologica, macchinizzazione e informatizzazione del lavoro, le macchine appaiono negli scatti a tratti antagoniste a tratti alleate, mentre l’uomo più che carnefice – immagine diffusa nella narrazione degli allevamenti intensivi – appare qui come parte di un sistema al quale sembra non potersi sottrarre.

MAURIZIO MONTAGNA Sesia #004 2021 © Maurizio Montagna
MAURIZIO MONTAGNA FISHEYE – Sistema Museale di Ateneo – Università di Bologna Collezione di Zoologia
TAKASHI HOMMA M + TRAILS – Padiglione dell’Esprit Nouveau, Bologna

MISHKA HENNER IN THE BELLY OF THE BEAST – Palazzo Zambeccari – Spazio Carbonesi, Bologna
BERNARD PLOSSU Los Angeles, USA 1974 © Bernard Plossu
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