Aldo Mondino, una retrospettiva a Genova

Fino al 27 novembre 2016 è visitabile a Villa Croce e nel Palazzo della Meridiana la mostra retrospettiva dedicata ad Aldo Mondino, curata da Ilaria Bonacossa. Il percorso comprende anche opere dislocate in diversi spazi della città: Palazzo Ducale, Musei di Strada Nuova, Palazzo Reale, Casa di Colombo e Acquario di Genova.
4 Ottobre 2016

“Appena appena aspro, appena appena allappante, appena appena amaro: forte e simpatico come un gusto di sole e di roccia”
Mario Soldati, da Il vino di Carema.

Spesso non si può sintetizzare fatti e stati in poche righe, nelle frasi che nero su bianco scriviamo per dare ordine e spazio a momenti infiniti. È un lavoro difficile che segue un momento di coscienza storica e di distacco cognitivo dal fatto che viviamo. Parlare di un’esperienza amorosa, di un rapporto sessuale, del piacere estetico, dell’ebrezza del vino, della compagnia di un amico caro è fattibile solo alla fine del momento vissuto. Vivere e parlarne contemporaneamente presuppongono uno stato di coscienza che si mescola confusamente col flusso emozionale che ne fa da contraltare, non a caso questo connubio è spesso il momento apicale della composizione poetica, dove ratio, mente e corpo si uniscono felici e festosi in un’orgia di estrema profondità conoscitiva e di pungente verità. Certamente, un terzo può più facilmente parlare e prendere atto (non sempre coscienza) di uno stato compositivo o rivelatore di una ricerca intima e personale che in prima persona è difficile da farsi e dirsi.

A Genova è ora in corso una mostra dedicata ad Aldo Mondino (Torino, 1938-2005), artista che in tutta la sua carriera attraversa stati di ricerca diversi e contempla momenti d’analisi differenti, sempre motivati da un bisogno intimo e fisiologico, spesso legato alla sua vita personale. Al di là dell’eclettismo, dell’ironia, dell’ipercitazionismo che spesso vengono tratti in causa, si cela una sofisticava necessità poetica di dialogo parallelo o contrario alle ricerche a lui contemporanee. C’è sempre un ricordo di vita, che emerge ad esempio nei Tappeti stesi (1992) visibili all’ingresso di Villa Croce, memoria dei suoi viaggi orientali, approfondimento della pittura su materiali insoliti (il truciolato in questo caso), indagine delle modalità di percezioni fisiche proprie di ciascuno (e per questo sempre diverse), che spesso Mondino dice essere condizionate nel suo caso dagli “occhi da miope”, che a volte distorcono e a volte confondono sagome e colori. Ne è un esempio Viola d’amore (1985), esposta esternamente di fronte all’ingresso, costituita da una custodia di viola aperta, che ricorda e richiama l’abbraccio di due persone sedute su una panchina: è un ready made intriso di romanticismo. Mondino prende atto di modi e pensieri senza un disegno preciso e “progressivo”, ma come un flusso ritmato da viaggi e incontri. Basti ricordare Tenda (Casorati) (1964), che riprende la Maternità con le Uova del pittore novarese per farne poi un’opera costituita da una tenda di plastica e una porta, traducendo un quadro a lui caro in un’opera da vivere col corpo, ma insieme omaggio all’artista scomparso. Altro dialogo, sicuramente non neutro, con un artista a lui coevo è Trova le 7 differenze (1964), in cui riproduce gli ideogrammi di Capogrossi con delle diversità e con l’intenzione di riflettere sull’informale. Un rimando ad un “collega” è poi Essaouira 94 (2004), il cui titolo riprende il nome della città marocchina amata da Mondino e da Alighiero Boetti, suo carissimo amico scomparso prematuramente nel ’94, a cui Mondino dedica un ciclo di opere, come questa dove sul cielo del Marocco si stagliano dei gabbiani che ricordano gli aeroplanini boettiani, assieme alla scritte “Ali-Ali-Alighiero”. La memoria di un luogo emerge anche in Sole (1967), lavoro composto da raggi di lampadine a parete, in cui quelle sotto ai 160 cm sono azzurre e spente, quelle sovrastanti gialle e accese. Il riferimento temporale è allo straripamento dell’Arno nel ’66, che è pari a 160 cm, altezza del punto di vista secondo la concezione rinascimentale, che Mondino recupera dopo l’abbassamento dello stesso negli anni a venire, a cui rimandava una certa “sensazione di soffocamento”. Ma i ricordi di luoghi e vissuto riemergono poi in Pensione Fuentes (1985), Mon Dine (1992), Festa Araba (1985), Balletto Turco (1989), …

Aldo Mondino,   Gravère,   1969  180 pesci in bronzo su struttura portante in ferro,  166 x 190 x 7 cm  Courtesy Fusioni d’Arte 3V,   Origgio (VA)  Photo Credit: ©HenrikBlomqvist Palazzo Rosso

Aldo Mondino, Gravère, 1969 180 pesci in bronzo su struttura portante in ferro, 166 x 190 x 7 cm Courtesy Fusioni d’Arte 3V, Origgio (VA) Photo Credit: ©HenrikBlomqvist Palazzo Rosso

Mondino prende parte anche alla ricerca sui materiali dell’Arte Povera, rispondendo, però, con distacco ed una certa velatura d’ironia. Realizza così opere composte esclusivamente da cibo, per lo più dolci, ben consapevole della precarietà e dell’aleatorietà dei materiali, ma anche della loro duplice natura, apparendo ciò che non sono. Basti pensare a Untitled (Piscina di Marshmallow) (1982), una parete di una piscina interrata la cui superficie è costituita di omonimi dolci spugnosi; a Delicatessen (1972), dove dipinge su carta velina intelaiata un corpo femminile con zucchero colorato, a cui associa anche l’idea del leccare e la voglia di gustare (non privo di doppi sensi); a The Byzantine World (1999), un mosaico (studiato all’Ecole des Beaux-Art di Parigi con Gino Severini) che riproduce una cattedrale bizantina con 12mila cioccolatini incartati in stagnole colorate; a Torre di Torrone (1968), una torre fatta di tavole di torrone impilate.

Nel Palazzo della Meridiana troviamo opere esclusivamente legate ai suoi vari viaggi. Nel salone d’entrata è disposta l’installazione Spirale (1998-2016), costituita da diversi sacchi di juta contenenti cibi ed altri elementi disposti a creare un’enorme spirale a terra. Il percorso prosegue poi con i celebri Dervisci, i discepoli islamici che ricercano un contatto col mondo spirituale attraverso un preciso rito dettato dal ritmo del ballo. Ma ci sono anche opere ispirate da Gerusalemme e dalla riscoperta delle radici ebraiche della famiglia (sua madre lo era). La religiosità, la tradizione, le origini, il legame con la famiglia sono elementi che costituiscono in modo preponderante opere come Gerusalemme (1989), Metterci una pietra sopra (1999) e Muro del pianto (1988), un vero e proprio muro costituito da mattonelle di zucchero. Anche qui Mondino prende in esame la religione, la tradizione, l’uso dei materiali, il minimalismo americano per far sì che “La dolcezza di questa grande immagine voleva anche ricordare quella dolcezza latte e miele da sempre evocata dagli ebrei della diaspora nei confronti di Gerusalemme” (A.M).

La complessità del pensiero di Mondino, l’alternanza di ricerche, spunti, materiali, nonché il riferimento continuo a correnti artistiche, ad altri artisti e a dinamiche del sistema dell’arte sono alcune delle sue aree di indagine. Il percorso genovese restituisce in modo completo e dinamico il pensiero di una vita, coinvolgendo, con risultati più o meno riusciti, diversi luoghi della città, in cui si è cercato di far convivere e dialogare opere e contenitore. Sicuramente, emerge la ricerca delle diverse correnti emotive e riflessive di Mondino, per soddisfare la complessità di un’indagine eclettica e trasversale.

Aldo Mondino,   Autografi ?101  testi dell’Ottocento e Novecento,   autografati e incorniciati  Courtesy Archivio Aldo Mondino  Photo Credit: ©HenrikBlomqvist

Aldo Mondino, Autografi ?101 testi dell’Ottocento e Novecento, autografati e incorniciati Courtesy Archivio Aldo Mondino Photo Credit: ©HenrikBlomqvist – Villa Croce, Genova

Aldo Mondino,   Jugen Stilo,   1993-2016  Fil di ferro e penne Bic,   ø 200 cm  Courtesy Archivio Aldo Mondino  Photo Credit: ©HenrikBlomqvist - Palazzo Rosso

Aldo Mondino, Jugen Stilo, 1993-2016 Fil di ferro e penne Bic, ø 200 cm Courtesy Archivio Aldo Mondino Photo Credit: ©HenrikBlomqvist – Palazzo Rosso

Aldo Mondino nel suo studio a Parigi,   1978

Aldo Mondino nel suo studio a Parigi, 1978

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