A.S. VELASCA: INJURY TIME

“Non è un club di calcio, non è un’opera d’arte, è tutto questo insieme” (Un tifoso collezionista, 2015)
18 Giugno 2018
Edicola Radetzky - Photo Wolfgang Natlacen

Edicola Radetzky – Photo Wolfgang Natlacen

«Edicola Radetzky ospita un progetto curato da Stefano Serusi, con cui condivide diversi aspetti, tra cui il rapporto con la città di Milano e la possibilità di attivare delle opere attraverso la loro immersione in momenti di vita reale. A.S. Velasca è insieme un’opera d’arte e una squadra di calcio regolarmente iscritta e attiva nel campionato CSI di Milano, ed è stata fondata nel 2015 da Marco De Girolamo, Karim Khideur, Loris Mandelli, Wolfgang Natlacen e Clément Tournus, arruolando giocatori dilettanti che come dei performer agiscono consapevolmente all’interno di una narrazione che accosta alla pratica del calcio, e a tutti i momenti che la caratterizzano, delle opere appositamente realizzate da artisti. L’insieme dei fattori, che comprende lo sponsoring tecnico di Le Coq Sportif, fa della squadra un’opera d’arte totale, la cui identità visiva è caratterizzata anche dagli “objets utiles” realizzati da artisti e utilizzati in campo. La stessa divisa è ovviamente realizzata da un artista, che assume il nome di sponsor proprio in riferimento al carattere di spazio pubblicitario solitamente attribuito alla maglia. »  ( Estratto da comunicato stampa) 

Simona Squadrito:  Ciao Natlacen.
Tu, insieme ai fondatori della A.S. Velasca sostenete che, una volta entrati in campo, i giocatori non rivestono il semplice ruolo di calciatori, ma sono degli artisti in tutto e per tutto.
Qual è  invece il tuo posto allinterno del progetto? Ti ritieni il regista di tutte le forze messe in campo?  Sei semplicemente il presidente di  A.S. Velasca o ti ritieni  l’artista demiurgo, il Deus ex machina ? 

Wolfgang Natlacen: Il mio ruolo si avvicina a quello del regista di un film. In questo caso il film si chiama Velasca e il sottoscritto, forse per eccesso di megalomania, ha avuto la pessima idea di mettersi in scena. Ho un doppio ruolo, regista e attore non protagonista (interpreto il ruolo ingrato del presidente). Scherzi a parte, ho sempre diretto il Velasca come dirigo un film, con la differenza che in questo caso il medium è il campo.

S.S: Ricordo che il  giorno dellinaugurazione della mostra A.S. Velasca: Injury time presso lEdicola Radetzky, cercando di interpretare il progetto, ti ho portato lesempio dellautore del romanzo polifonico, che nel caso più esemplare è incarnato dal romanziere russo  Fëdor  Dostoevskij. A quel punto tu mi hai confessato che in realtà parte delle tue riflessioni sono legate a un altro grande autore della letteratura russa, Lev  Tolstoj.  Vuoi raccontarmi in modo più approfondito questo aspetto ? 

W.N: Il Velasca è una narrazione che come tale si nutre di drammi (senza andare a cercarli, per carità, ne abbiamo già abbastanza così). Dalle partite che regalano più delusioni che gioie, agli infortuni passando dalle sfide impossibili e dai sacrifici per arrivarci, la narrazione si articola attorno al Velasca, attorno a quella torre in costruzione. In parallelo, la presenza della morte nella narrazione velaschiana (ma anche nel calcio) è onnipresente. Il Velasca avanza nella sua narrazione,  consapevole che più passano i minuti più il fischio finale si avvicina. E poco a poco, i nostri spettatori e/o tifosi si chiedono come questa narrazione finirà, cosa il Velasca diventerà…c’è una tensione crescente. Più globalmente, il calcio è una sublimazione di un insieme di sofferenze.

Edicola Radetzky - Photo Wolfgang Natlacen

Edicola Radetzky – Photo Wolfgang Natlacen

S.S: Chi sono i tifosi della squadra A.S. Velasca? Sono persone che appartengono al pubblico dellarte o persone appassionate al calcio?

W.N: Entrambe. C’è chi cerca un’alternativa al calcio moderno, chi tifa(va) Milan o Inter ma che ha bisogno di sentirsi più vicino al campo, ai calciatori. Perché di questi tempi i club e i brands costruiscono muri tra i calciatori e i tifosi, che sono considerati più clienti che altro. C’è anche chi è curioso, chi viene per sorseggiare il cocktail Velasca creato da Daniele Usuelli, o un vin brulé troppo zuccherato , ma c’è anche chi non è interessato al calcio, come tanti artisti presenti sugli spalti, che si avvicina allo stadio. Poco a poco si creano intrecci interessanti. Gli artisti vanno allo stadio, i calciatori al Museo. Recentemente il Centre Pompidou di Metz ha invitato ufficialmente tutto il Velasca a visitare una mostra sui colori.

S.S:  Il progetto sviluppato per lEdicola Radetzky vuole raccontare e esorcizzare uno dei momenti più temuti e traumatici  di ogni sportivo, mi riferisco allinfortunio, nel caso dei calciatori il più temuto è la rottura del crociato. Vuoi approfondire con me questo punto? 

W.N: Qualche mese fa ho fatto un piccolo sondaggio tra i miei calciatori e qualche giocatore professionista. Tra le domande, la prima era sulla paura: « da calciatore, qual’è la tua più grande paura ?». Quasi all’unanimità la risposta è stata l’infortunio. Un anno prima, con l’opera di Eric Pougeau mi sono confrontato con la scaramanzia e la superstizione, che forse è uno degli aspetti più interessanti del calcio. Da lì è nata l’idea di realizzare un nuovo “objet utile”, ma con una dimensione meno pratica rispetto agli altri già in campo come le borracce, le bandierine e le fasce. Ho abbozzato il ginocchio di un nostro giocatore che, vittima di due operazioni allo stesso crociato, non ha potuto più giocare con noi, e l’ho dato in pasto al mio carissimo complice gardenese scultore di Ars Sacra. Al di là dell’oggetto, del fatto che possa piacere o meno, l’obiettivo è reale, fare un ex-voto per scongiurare un infortunio comune (in tre stagioni abbiamo perso 3 giocatori per colpa dei crociati).

Moneta Arbrito Nada Pivetta - Edicola Radetzky - Photo Wolfgang Natlacen

Moneta Arbrito Nada Pivetta – Edicola Radetzky – Photo Wolfgang Natlacen

Borracci Zhuo - Photo Wolfgang Natlacen

Borracci Zhuo – Photo Wolfgang Natlacen

S.S: Esiste un significato simbolico per cui avete deciso di chiamare la squadra di calcio con il nome del noto edifico milanese chiamato Torre Velasca?

W.N: Tra i dirigenti del club ci univa una certa attrazione non dichiarata a questa torre. Quando abbiamo cercato il simbolo della Milano che cambia, i nostri pensieri si sono raggiunti. Il Milan e l’Inter sono il calcio meneghino per eccellenza, hanno simboli legati alla storia della città : la croce di San Giorno per i rossoneri, il Biscione per i nerazzurri. Il Velasca invece necessitava un simbolo moderno, nuovo, in armonia con il nostro progetto. Non poteva che essere la torre Velasca, interpretazione moderna della torre Filarete del Castello Sforzesco. Alla fine il Velasca è un’interpretazione del calcio di una volta.

S.S: C’è un motivo particolare per cui avete deciso di fondare un squadra di calcio piuttosto che una squadra di pallavolo ?

W.N: Il primo passo è stato fatto sul ghiaccio con Loris Mandelli (attuale vicepresidente del Velasca), Patrizia Novello (artista del Velasca) e Daniela Novello. Ci eravamo messi al Curling, ma la cosa non è andata a buon fine per motivi fisici. Abbiamo quindi puntato a realizzare uno dei sogni di milioni di Italiani, creare una squadra di calcio. Tra i dirigenti del Velasca c’è chi preferisce il basket o chi punta a fondare una polisportiva, ma è il calcio che mette tutti d’accordo, è un gioco che non ha frontiere (o che non dovrebbe averne), è una lingua universale o, come diceva una mia conoscenza, una tavolozza di colori.

S.S:  Quali saranno le prossime tappe della squadra? 

W.N: La scrittura del quarto capitolo, di cui non svelo nulla.

Bandierina - Stephen Dean - Photo Wolfgang Natlacen

Bandierina – Stephen Dean – Photo Wolfgang Natlacen

Edicola Radetzky - Photo Wolfgang Natlacen

Edicola Radetzky – Photo Wolfgang Natlacen

Photo Wolfgang Natlacen

Photo Wolfgang Natlacen

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