5 gallerie al Fuori Salone

19 Aprile 2011
Prometeo Gallery con la mostra di Kevin van Braak ‘History is made of different shades of grey’
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IM-MOBILI, Francesca Minini
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A Lunatic on bulbs, kaufmann repetto
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Premetto che ne ho viste solo 5. Cominciamo con due che, presa la palla al balzo, si sono svuotate per fare largo al mastodontico fuori Salone. Si sgombrano Pianissimo e De March, mentre restano in pista repetto kaufmann, Francesca Minini e Prometeo Gallery. Spiacente con tutte le altre che per ‘poca curiosità’ non ho visitato.
Le Kaufmann repetto presentano con il difficilissimo incipit del comunicato stampa – “l’arte incontra la funzionalità” – A Lunatic on bulbs: termine con cui Emily Dickinson definiva sé stessa per indicare la sua passione per i fiori da giardino.. E di fatto, le panche e panchette di Tom Burr, Liam Gillick, Joel Shapiro, Rirkrit Tiravanija, Aaron Young e Rob Wynne, sono state collocate nel cortine davanti alla galleria. I sei artisti hanno realizzato degli oggetti da giardino: chi facendo un’altalena con copertone e oro (Aaron Young), chi dei simpatici funghetti (Rob Wynne), chi con griglie minimali come Joel Shapiro… Su tutti, il tavolo da ping-pong di Tom Burr ricoperto di gomma liquida.
Francesca Minini, invece, allestisce una collettiva ad hoc con artisti della galleria che più di altri costruiscono, ragionano o toccano il design: Alessandro Ceresoli, Stefano Arienti, Daniel Buren, Riccardo Previdi, Haim Steinbach e Ali Kazma, tra gli altri. IM-MOBILI: “Il titolo è quasi un gioco di parole, che riprende l’idea del mobile inteso come oggetto di design, ma traslato dal suo significato originale per assurgere ad icona, a segno immobile, statuario ed incisivo che ci proietta nel mondo altro dell’interpretazione artistica.”
Premio, tra le 5, o meglio tra le 3 concorrenti Prometeo Gallery con la mostra di Kevin van Braak ‘History is made of different shades of grey’, dove ha ricostruito quattro scrivanie di altrettanti leader storici controversi – Hitler, Stalin, Mao e Nixon – e il mappamondo che Hitler aveva nel suo ufficio presso la Cancelleria del Reich a Berlino. “L’intenzione dell’artista non è di rimuovere la memoria dei fatti da queste scrivanie; al contrario, il loro aspetto simile fa emergere prepotentemente la storia che è stata letteralmente “scritta” su di esse, ma non in senso letterale o in un rapporto diretto con essa. In questa loro nuova veste le scrivanie perdono la connotazione di supporto su cui venivano prese, a firma dei loro proprietari, decisioni riguardanti la vita e la morte di milioni di persone.”
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