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35 anni di Studio Azzurro | Palazzo Reale

[nemus_slider id=”54760″] Un nuotatore in azione che attraversa gli schermi di una decina di televisori; immagini che si screziano e sembrano bruciarsi riprodotte da diversi dispositivi; tavoli che reagiscono al tatto del visitatore che interagisce con questi (una donna si...

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Un nuotatore in azione che attraversa gli schermi di una decina di televisori; immagini che si screziano e sembrano bruciarsi riprodotte da diversi dispositivi; tavoli che reagiscono al tatto del visitatore che interagisce con questi (una donna si volta e rivolta se sfiorata; uno strofinaccio si annoda e snoda se toccato); un pavimento proietta coppie di persone che, se calpestate, gemono, urlano, dolgono; tre grandi schermi riproducono bambini in gioco con canzoni di De Andrè di sottofondo; le pareti e le colonne del salone d’onore di Palazzo Reale diventano elementi su cui proiettori imprimono immagini di cittadine e paesaggi aspri e arsi; la Sala delle Cariatidi diventa schermo di immagini in movimento, su muri, soffitto, dispositivi qui esposti. Tutto questo a Palazzo Reale in occasione della mostra Immagini sensibili, una “retro…prospettiva” (come da comunicato) che vuole ripercorrere 35 anni di attività di Studio Azzurro, un movimento artistico fondato nel 1962 da Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi.

Più di trentacinque anni fa, i nostri occhi osservavano quella luminescenza azzurra provenire da una piccola finestra di luce prodotta da un tubo catodico, un oggetto notevolmente ingombrante con la forma di un imbuto. I nostri sguardi ci si precipitarono dentro, e noi con loro. Con l’idea che se da quel momento le immagini elettroniche avevano invaso il nostro mondo, la nostra realtà, la nostra vita, noi, attraverso quella finestra avremmo potuto invadere quell’universo di luce e provare a capirne la natura, cimentando la nostra creatività per scoprirne la poesia. Dispiegando le vele delle immagini, il viaggio ebbe inizio. Esplorando, in principio, lo stesso oceano su cui galleggiava la nostra nave – provammo, poi, a pensare a destinazioni più precise che ci portarono inevitabilmente fuori dalle rotte normalmente praticate dal mercato dell’arte” (dal catalogo della mostra).

Studio Azzurro è nato quando le nuove tecnologie, la comunicazione televisiva, i cellulari e tutto quello che ha sconvolto, trasformato radicalmente e rinnovato il mondo fine novecentesco hanno cominciato a sorgere poco alla volta. I protagonisti di questa “bottega” hanno colto l’incidenza invasiva e pervasiva di una simile trasformazione e hanno voluto analizzarla, studiarla, capirla, in un percorso di ricerca ininterrotto, che dura tutt’oggi. Attraverso formati quali video-monolocali, video-installazioni, spettacoli teatrali di danza e musica realizzati con immagini virtuali, film, video-ambienti, ambienti sensibili, musei di narrazione, Studio Azzurro ha realizzato opere d’arte che cercassero di risolvere i principali problemi sorti, a livello sociale e antropologico, con “l’era delle nuove tecnologie”: l’isolamento del singolo davanti al computer o al cellulare; il progressivo impoverimento della comunicazione interpersonale; la mutazione del linguaggio stesso e dei tempi e dei modi del dialogo; la velocizzazione di ogni rapporto comunicativo, prima richiedente fasi incomparabilmente più lunghe; il diminuire del contatto fisico con l’altro, ormai sempre più percepito come immagine virtuale di una persona reale, … Uno dei principali obiettivi del gruppo è stato quello di creare lavori capaci di far interagire il visitatore, in modo da renderlo vero e proprio “spett-attore”, coinvolgendone il fisico e i sensi tutti, così da fargli “guardare le cose attraverso il senso dell’udito”. Sono lavori, dunque, “sensibili”, che, interagendo col pubblico, interpretano e traducono l’empatia propria dei rapporti umani, e “reagenti”, perché rispondono ad attività comunicative comuni, come il toccare, il calpestare o l’emettere suoni.

Noi siamo ancora in viaggio, nessun porto ospita la nostra nave”: sintomo della volontà di mai rilassarsi su concetti acquisiti, in sicuri approdi conoscitivi, in solari spiagge dell’esaurito. Studio Azzurro è quasi un eracliteo tempio del panta rei, acuto interprete del fatto che “le tecnologie risultano come i gusci di conchiglie che si rinnovano con l’evoluzione degli organismi che contengono”.

Studio Azzurro è anche custode di non pochi contrasti: tra mondo virtuale e mondo reale — quest’ultimo “suscita continui interrogativi, ci pone continuamente delle domande, alle quali, per provare a dare risposta, nel tentativo di raggiungerle è necessario trovare nuove rotte e altre destinazioni”; tra passato e futuro; tra riproducibilità propria delle immagini elettroniche e l’hic et nunc dell’opera d’arte; tra performatività live e reproduced; tra organico e sintetico; tra tangibile e intangibile.

Fino al 4 settembre 2016

Le parole dei fondatori del gruppo presenti alla conferenza stampa di presentazione.

Leonardo Sangiorgi

La mostra è un grande riconoscimento che Milano e la sua amministrazione fanno al nostro lungo lavoro di ricerca. E’ bello immaginare in modo speculare che sia anche un riconoscimento a Milano, come grande possibilità di laboratorio in cui la nostra attività si è potuta realizzare. E’ una cosa molto importante la profondità di tempo e la distanza che ci ha permesso di capire molte cose, capire la natura di molti strumenti e che per progettare il futuro bisogna guardare al passato. Un’altra occasione e ragione di questa mostra è che Studio Azzurro è conosciuto e, in questo caso, amato moltissimo, oppure non è conosciuto proprio per niente. Questa mostra dà l’occasione al grande pubblico di conoscere un lavoro di ricerca sui linguaggi visivi tecnologici come il nostro. Un’altra ragione della mostra è far vedere come le tecnologie, tendenzialmente nate per assolvere a dei compiti a volte molto noiosi e ripetitivi, possono, attraverso una riflessione, una piccola ricerca, diventare strumenti con grandi poteri poetici. La mostra non vuole celebrare la persona di Paolo, ma vuole testimoniare che le idee non muoiono mai e che Paolo è continuamente vicino a noi ed è estremamente difficile se non impossibile, almeno per me, parlare al passato di lui.

Fabio Cirifino

Il percorso espositivo è diviso in quattro parti. Nella prima abbiamo voluto raccontare gli anni ‘80, perciò il rapporto che le nostre immagini, i suoni e il pubblico avevano con gli spazi che frequentava. La seconda parte è più vicina agli anni ’90, dove il pubblico si mette in relazione con le opere, quindi si sviluppa la nostra fase di lavoro sull’interazione con le opere. La terza parte è sugli anni 2000, dove lo Studio comincia a lavorare sul territorio. Abbiamo cercato, attraverso delle specie di manifesti, di raccontare come si è sviluppato il percorso, con fotografie, disegni, progetti, schizzi, immagini di backstage. E’ un percorso di tutte le fasi che lo studio ha passato in questi anni e di come ha sviluppato queste opere. Nella Sala delle Cariatidi c’è un ultimo lavoro dedicato a Milano, che riprende una ricerca che abbiamo fatto partendo dal 2000, quando hanno cominciato a sbarcare in Italia i primi migranti provenienti dall’Albania. Ci chiedevamo da dove venissero e dove andassero. E’ un lavoro su com’è la condizione a Milano di queste persone che hanno cercato di venire da “questa parte”.

Prologo a Diario Segreto. Contraffatto. Opera videoteatrale 1985 Roma,   La Piramide
Prologo a Diario Segreto. Contraffatto. Opera videoteatrale 1985. Roma, La Piramide
Il nuotatore (va troppo spesso a Heidelberg). Videoambiente 1984. Venezia,   Palazzo Fortuny
Il nuotatore (va troppo spesso a Heidelberg). Videoambiente. 1984. Venezia, Palazzo Fortuny