PETRA VALENTI
Descriverei il mio rapporto con musica e fotografia attraverso una poesia tratta dal libro The Last Holiday – A memoir di Gil Scott Heron, riferendosi alla cecita? del suo idolo e poi grande amico Stevie Wonder:
That meant the harmonica on “Fingertips”
Was no sooner settling on Stevie’s lips
Than what inevitably came to their mind
For some reason was that the brother was blind. Which obviously didn’t mean a helluva lot
‘Cause it said what he didn’t have but not what he got. His music hit a certain chord
And moved you like the pointer on a Ouija board
Your feet made all of your dancing decisions
And didn’t give a damn if he had X-ray vision.
“He’s blind” as though Stevie was condemned to the dark? Suppose you looked at it the opposite way:
They had 20/20 vision and still couldn’t play.
And when they danced seeing didn’t help them keep time And things like that made me wonder just who was blind.
Ho lavorato in diversi club a Londra e ho avuto il privilegio di scattare sia pilastri dei miei generi preferiti – dal jazz all’hip hop al reggae – sia di scoprire nuove e vecchie subculture. La ricchezza piu? grande e? indubbiamente il vedersi crescere e imparare attraverso il contatto con la gente, parlare con artisti che suonano dal doppio degli anni in cui tu sei al mondo e portare avanti la tua ricerca personale con una colonna sonora ricca di ricordi e lezioni. Questa selezione di foto e? parte del mio archivio.
Petra Valenti, nata nel 1988 a Firenze e cresciuta a Bergamo. Dopo il diploma, si trasferisce a Londra nel 2007 dove si avvicina al mondo della fotografia. La sua prima collaborazione continuativa e? con Live Magazine che la vede prima come fotografa e poi come photo editor. Tra le numerose commissioni ed esperienze, tra le quali The Guardian, HTC e svariate magazine musicali, la piu? importante avviene nel 2012 con il marchio Carhartt. Nel 2014 ritorna in Italia dove incontra il gruppo Cesura e il fotografo Magnum Alex Majoli, incontro che porta ad un’intensa e florida collaborazione. I suoi lavori sono stati pubblicati su The Guardian, Telegraph, Mojo, Dazed and Confused, Corriere della Sera, Vice.it. Vive e lavora a Milano e mantiene un rapporto costante con Londra dove sta sviluppando un progetto personale.
LUCA VIANELLO
A love story – Time Refugees
<<Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi, che sanza speme vivemo in disio».
<<Siamo perduti per questa colpa e
non per altri peccati, e la nostra unica
pena e? di vivere in un desiderio senza speranza>>. Dante Inferno canto IV
Lo hanno fatto in tanti, di raccontare storie d’amore. Si dice sia il sentimento che fa girare il mondo e che prima o poi lo salvera?. Solitamente richiama un immaginario dalle tonalita? melliflue, sussurri, miagolii, passioni, sacrifici e compromessi. Tutto questo e? vero ma non e? reale: il quotidiano non basta, ci vuole la polvere sotto il tappeto, le ragnatele negli angoli e tutto cio? che non vogliamo vedere o sentir raccontare, soprattutto quando si parla di amore.
Se seguissimo certi canoni, l’arte non avrebbe ragione di esistere e la fotografia servirebbe solo a ricordare i matrimoni. Chi intesse una storia d’amore con la propria arte sa che c’e? ben altro da raccontare, ricerca una sensazione dell’amore del tutto personale che rimane incastrata nella vita vera e, come in questo caso, immortalata su pellicola.
Time Refugees inizia una sera a casa di amici e si snoda nel tempo, negli anni, nelle notti e nei momenti che richiedono uno sguardo duro e diretto per essere visti. La gioventu? e l’amore sono sporche e su di esse non si passa indenni: richiedono grandi dosi di coraggio e distruzione. Con il passare degli anni si cerca di dimenticare, ma e? cosi? che vanno le cose. Quella raccontata e? la storia d’amore che l’artista ha con la vita e che fotografa attraverso gli amici e gli sconosciuti, il loro agire e le situazioni in cui si vengono a trovare. Questi scatti hanno il sapore del cemento stretto tra i denti, del bicchiere di birra lanciato sulla folla e di spaghetti mangiati nella vasca da bagno; le luci sono frastornanti, gli occhi rossi sono vuoti, le menti distanti e la morte presente. La narrazione e? un susseguirsi agitato di istanti che tutti abbiamo visto e vissuto ma che nessuno si ferma a immortale, soprattutto per raccontare una storia d’amore giovane, con ancora tutta la vita davanti.
Questo e? uno dei punti focali del progetto che indaga il limbo in cui e? scaraventato chi attraversa quella fascia di vita in cui non si e? piu? piccoli ma non si vuole o non si puo? essere adulti, dove si brancola nel buio della notte aggrappandosi ad alcool, locali, esami, sesso e oggetti fuori luogo: gli unici in grado di parlare
di te.
Dopo una notte, un giorno, un periodo speso a cercare forsennatamente qualcosa, quello che resta e? un forte mal di testa e piccoli flash, che hanno lo stesso sapore degli scatti di Time Refugees, che raccontano la storia di tutti senza parlare di nessuno.
Ci sono la rabbia, il degrado, la sincerita? sociale di chi non cerca di estetizzare la storia, ma solo di essere sincero usando la macchina fotografica al pari degli occhi. Cosi? brutale da innescare una relazione perversa con le opere, che il fruitore stesso percepisce con una morbosita? da guardone.
E? un vagare privo di emozioni, un movimento senza obiettivo, una fase di transizione in cui non si e? assolutamente nulla se non l’ossessiva ricerca di qualcosa.
La fotografia e? riportata all’istante, al medium attuale e contemporaneo quale e?, e ci racconta i nostri ricordi e le nostre inutili storie d’amore con la vita: cosi? sbagliata sporca e sincera, da diventare ridicola e indimenticabile.
Testo di Annika Pettini
Luca Vianello nasce ad Alba, una piccola cittadina del nord-ovest d’Italia. Frequenta l’istituto IED (European Institute of Design) e affianca come assistente lo studio fotografico Paolo Ranzani. Dopo la laurea diviene collaboratore del collettivo Cesura e assistente di Alex Majoli Magnum Photo Photographer. Nel 2013 e? photo editor e produttore di “A Questo Mondo Perfetto” di Alex Majoli e Fabio Barovero. Fino all’agosto 2015 si dedica all’organizzazione dell’archivio, alla stampa e alla post produzione di Alex Majoli. Lavora ora come freelance e vive a Torino.
GIADA CARNEVALE
Cara Amica,
ho controllato l’oroscopo cinese ma sembra che nessuna delle due sia nata sotto il segno del cane; che stranezza, me lo sentivo proprio. Probabilmente la nostra empatia deriva da qualcos’altro, forse e? molto piu? profonda, forse non ha senso spiegarlo; una sorta di feroce attaccamento alla vita.
un abbraccio N.C.
Giada Carnevale (Vigevano, 1986), frequenta l’Accademia di Brera (Milano). Ha esposto il suo lavoro presso Fabbrica del Vapore e Flagship Store Enel (Milano); FISAD (Torino). Con BB5000 (co-fondatrice) ha esposto presso Biennale di Berlino 2016, Bid Project e Galleria Davide Gallo (Milano). Lavora a Milano.